Pubblicati i risultati di una survey che raccontano l’esperienza dei familiari e dei pazienti ematologici nella prima fase della pandemia.
Nel corso dell’ultimo anno la pandemia di COVID-19 ha reso complesse molte attività, anche essenziali come quelle legate ai servizi per la salute dove la capacità di risposta organizzativa non è stata omogenea sul territorio nazionale. Le ricadute di questa imperfetta organizzazione si sono riversate sui pazienti, che hanno dovuto vivere disagi e imprevisti.
Per valutare l’impatto di questi disagi e raccogliere dati sull’esperienza diretta dei pazienti ematologici già nella prima fase della pandemia, è stato lanciato un questionario da AIL, in collaborazione con Elisabetta Abruzzese, medico ematologo dell’Ospedale S. Eugenio di Roma, e Marianna de Muro, medico ematologo dell’ospedale “F. Spaziani” di Frosinone.
Il questionario ha raccolto le risposte di 1106 pazienti nel periodo compreso tra maggio e giugno 2020. La maggior parte di questi pazienti – circa l’80% – gestisce la patologia ematologica in modo autonomo, prevalentemente nella propria regione e con un’assistenza in day hospital, ambulatorio o cure domiciliari (nel 90% dei casi). Il 67,5% di essi convive con la propria malattia ematologica da più di cinque anni.
I principali disagi evidenziati riguardano l’accesso ai servizi, la comunicazione con il centro di cura, le difficoltà di spostamento con i mezzi pubblici. Tra i bisogni vengono indicati come prioritari: la richiesta di attenzione da parte del medico ematologo e il reperimento dei dispositivi di protezione individuali (che ricordiamo come estremamente complesso per tutti in quei mesi). Ovviamente i pazienti hanno anche manifestato il bisogno di ricevere informazioni specifiche rispetto al COVID-19 e la loro malattia e hanno evidenziato la difficoltà nel ricevere attenzione dal proprio medico di base.
Per un approfondimento su tutti gli aspetti del questionario vi rimandiamo al rapporto completo, pubblicato su questa pagina del sito AIL.