Le alterazioni della flora intestinale causate dall’obesità aumentano la reazione di rigetto nel trapianto di cellule staminali ematopoietiche.
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La flora batterica intestinale è molto importante anche per l’equilibrio del nostro sistema immunitario. Un’altra conferma del ruolo fondamentale dei microorganismi che popolano il nostro intestino arriva da uno studio pubblicato su Science Translational Medicine sulla tolleranza al trapianto di cellule staminali ematopoietiche (CSE), quelle che dal midollo osseo danno origine alle cellule del sistema immunitario.

Gli autori hanno scoperto che, in un modello animale, la flora batterica alterata aumenta il rischio di rigetto e diminuisce la sopravvivenza dopo il trapianto di CSE.

Il trapianto di CSE è una terapia diffusa e ben consolidata per la cura di molte malattie del sangue, ma l’esito del trattamento è compromesso se insorge una reazione di rigetto incontrollata (graft versus host disease – GVHD). Le cellule staminali del donatore, essendo cellule del sistema immunitario, possono riconoscere come estranei i tessuti del paziente ricevente ed attaccarli. Una reazione di rigetto “al contrario”, poiché nel trapianto di organi normalmente è il sistema immunitario di chi riceve ad attaccare l’organo donato.

Nello studio i ricercatori, lavorando con modelli murini, hanno confrontato individui obesi con dei normopeso sottoposti a trapianto di CSE. Dopo il trapianto, gli obesi hanno mostrato un aumento nelle concentrazioni di citochine (proteine infiammatorie), e nella produzione del marker ST2, una “molecola segnale” della GVHD. Inoltre, la sopravvivenza degli individui obesi era inferiore. Questi risultati confermano l’analisi dei dati di coorti di pazienti che hanno subìto un trapianto di CSE, da cui risulta che i soggetti obesi hanno un tasso di sopravvivenza minore e una concentrazione di ST2 maggiore rispetto ai pazienti normopeso. Lo studio della flora batterica intestinale, sia nei topi che nei pazienti trapiantati, ha rivelato che il microbiota dei soggetti obesi è meno diversificato – ovvero ci sono meno specie batteriche – e rispetto ai normopeso presenta meno batteri della famiglia Clostridiacae.

“Sono stati fatti molti studi sull’associazione tra microbiota e trapianto di CSE, ma i risultati sono stati finora contrastanti perché l’enfasi è stata posta sull’identificazione di batteri buoni o cattivi. Invece la storia non è così semplice, ed è piuttosto la diversità globale della flora batterica ad essere il fattore chiave”,

commenta a GIMEMA informazione William J Murphy, coordinatore dello studio e professore all’Università della California a Davis.

I ricercatori hanno visto che, nei topi obesi un trattamento antibiotico preventivo protegge da alcuni processi infiammatori, ma non dallo sviluppo successivo della malattia da trapianto contro l’ospite. “Nei soggetti obesi l’intestino tende a essere più permeabile, “leaky” gut, perciò i batteri e i loro prodotti metabolici (per esempio le tossine) possono arrivare al resto del corpo”, spiega Murphy. “Queste sostanze sono forti amplificatori delle cellule del sistema immunitario e aumentano notevolmente il danno provocato dalle citochine. Per questo il trattamento antibiotico può essere d’aiuto: riducendo i batteri, riduce anche la produzione di tossine. Tuttavia – sottolinea il professore – l’antibiotico era protettivo solo nei topi grassi e se utilizzato per un breve periodo di tempo.

Ciò dimostra che, per quanto riguarda il microbiota, non esistono regole universali ferree, ma questo studio suggerisce che nei trapianti di CSE le alterazioni della flora batterica contribuiscono agli effetti negativi già noti dell’obesità”.