È quanto emerge da uno studio prospettico condotto da un team di ricercatori cinese: secondo i risultati, l’età del donatore è il fattore che favorisce gli esiti migliori.
In caso di un trapianto, trovare il donatore migliore può essere una vera sfida. Questo è vero soprattutto per i trapianti aploidentici che prevedono il trapianto di cellule staminali del sangue da un donatore le cui caratteristiche immunologiche sono compatibili almeno per la metà con quelle del ricevente. Per questo motivo, generalmente il donatore scelto per il trapianto è un membro della famiglia del ricevente. Spesso però, all’interno di una stessa famiglia, sono disponibili più donatori: come scegliere quello che garantirà la migliore riuscita del trapianto? Per rispondere a questa domanda, un gruppo di ricercatori della Zhejiang University School of Medicine, in Cina, ha condotto uno studio prospettico in cui sono state valutate le variabili più importanti per favorire gli esiti del trapianto aploidentico.
In particolare, sono stati considerati 512 pazienti con diversi tumori ematologici che erano stati sottoposti a trapianto aploidentico nel centro di ricerca cinese: confrontando le caratteristiche dei donatori con gli esiti dei trapianti, i ricercatori hanno cercato di individuare quale fosse il donatore migliore.
In generale, la chiave per una buona riuscita di un trapianto aploidentico è la giovane età del donatore: più aumentava l’età infatti, più i tassi di sopravvivenza del ricevente si abbassavano.
Gli autori dello studio hanno rilevato che il fattore età era anche più importante della compatibilità (nella stessa famiglia, infatti, è possibile avere una compatibilità immunologica anche superiore al 50%, che in linea teorica assicurerebbe una miglior riuscita del trapianto). In più gli autori hanno rilevato che, in caso di donatrici di sesso femminile e riceventi di sesso maschile, l’intervento era più a rischio per complicanze post-trapianto.
“Lo studio a cura del gruppo cinese coordinato da Yi Luo è un lavoro importante, soprattutto per il gran numero di pazienti coinvolti. Un limite considerevole, invece, a detta degli stessi autori, è che si tratta di una valutazione retrospettiva e di un’esperienza limitata a un singolo centro, che potrebbe non essere estensibile a tutte le casistiche esistenti nella popolazione generale.
Proprio per questi limiti e come spesso succede in questi studi, i ricercatori hanno tratto conclusioni in linea con diversi gruppi di ricerca internazionali e in contraddizione con altri”, ha commentato William Arcese, professore ordinario di ematologia all’Università “Tor Vergata“, Roma
“Una delle caratteristiche che non corrisponde a quelle generalmente trovate negli studi di paesi come Europa e Stati Uniti è quella dell’età: l’età mediana dei pazienti coinvolti è di 29 anni, mentre solitamente i nostri studi considerano pazienti più anziani. Va da sé che, confrontando i dati dei ricercatori del gruppo cinese con quelli dei nostri centri, non si ottengono gli stessi risultati, perché gli esiti dei pazienti più giovani sono sempre più favorevoli, indipendentemente dalle altre caratteristiche”, continua Arcese.