I risultati riportati da un recente articolo pubblicato su Bone Marrow Transplantation mostrano l’efficacia e la sicurezza del trattamento con cellule CAR-T in pazienti adulti con sindrome di Down, affetti da leucemia linfoblastica acuta a cellule B (B-ALL).

I portatori di sindrome di Down sono notoriamente più predisposti allo sviluppo di neoplasie ematologiche. Grazie alla ricerca e all’introduzione di nuove terapie, negli ultimi anni si è assistito ad un miglioramento dell’aspettativa di vita di questi pazienti, altresì inferiore a quella della popolazione non affetta da sindrome di Down.

Nel lavoro pubblicato su Bone Marrow Transplantation, rivista del gruppo Nature, si è analizzato l’utilizzo di cellule CAR-T che avevano come bersaglio le proteine CD19 o CD22 espresse dalle cellule tumorali. Le cellule CAR-T rappresentano una frontiera estremamente promettente dell’immunoterapia onco-ematologica. Esse, infatti utilizzano le cellule T – un particolare tipo di globulo bianco specializzato nell’eliminazione di cellule infette o tumorali – prelevate e successivamente ingegnerizzate in laboratorio appositamente per riconoscere specifiche proteine espresse delle cellule tumorali e aggredirle.

In particolare, questo trattamento si è rivelato molto valido per la terapia della leucemia linfoblastica acuta a cellule B sia nella popolazione pediatrica che in quella adulta, specialmente in pazienti particolarmente fragili, defedati e/o con comorbidità – tra i quali ci sono i pazienti con sindrome di Down – che per tale ragione non risultano in genere candidabili ad effettuare il trapianto di cellule staminali midollari.

Simona Sica, ematologa al Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, tra gli autori dell’articolo, ha tenuto a sottolineare:

“I pazienti affetti da sindrome di Down sono persone che hanno diritto di giovarsi delle terapie più innovative e sofisticate. La loro fragilità intrinseca al difetto genetico ha consentito di comprendere alcuni meccanismi nello sviluppo delle neoplasie ematologiche ed è auspicabile che queste persone possano sempre di più essere incluse nei protocolli clinici di sperimentazione considerando che la loro gestione della salute è andata negli ultimi anni migliorando in maniera considerevole: quindi, non preclusione ma inclusione”.

L’articolo ha analizzato in particolare due casi, quello di un uomo di 43 anni e quello di una donna di 27 anni, entrambi portatori della sindrome di Down – con talune associate comorbidità – e affetti da B-ALL, entrambi trattati con terapia CAR-T.

Entrambi i pazienti, malgrado avessero riportato dei transitori effetti collaterali comunemente associati alla terapia – in particolare una risposta infiammatoria abnorme, causata da un’attivazione massiccia del sistema immunitario – , hanno mostrato ottima tolleranza al trattamento e sono stati dimessi con successo dopo circa due settimane, con remissione della malattia.

Gli effetti collaterali legati alla terapia CAR-T, su base iperinfiammatoria, si verificano frequentemente anche nella popolazione non portatrice di sindrome di Down e sono solitamente ben gestiti attraverso la somministrazione di farmaci, anche biologici, che riducono l’infiammazione. Farmaci che, nel caso dei pazienti in oggetto, non si sono resi neanche necessari in quanto in entrambi l’iperinfiammazione associata alla terapia è risultata autolimitante e non ha richiesto l’utilizzo di corticosteroidi o farmaci biologici (come l’anticorpo monoclonale tocilizumab), solitamente utilizzati per la gestione della sindrome iperinfiammatoria da citochine.

 

La pubblicazione originale è disponibile al seguente link: https://doi.org/10.1038/s41409-024-02386-0