Sindromi Mielodisplastiche (SMD) e Leucemia Acuta Mieloide (LAM) non sono mai state considerate malattie a carattere familiare. Ma nel corso degli ultimi anni sono stati osservati numerosi casi che potrebbero avere una relazione diretta con la storia familiare dei pazienti.

La Fondazione GIMEMA ha deciso di avviare uno studio clinico per raccogliere informazioni che permettano di identificare i pazienti che potrebbero aver ereditato queste mutazioni, consentendo di:

  • Avere una migliore conoscenza dell’epidemiologia di queste patologie;
  • Mettere a punto uno strumento per studiare a lungo termine i pazienti con LAM e SMD familiare definita e non;
  • Compiere un primo passo verso l’identificazione di un nuovo trattamento terapeutico e di una strategia di prevenzione.

 

 

Non sono rari i casi in cui in una famiglia vengono osservate più persone affette dalla stessa malattia, magari in giovane età, nonostante queste patologie siano relativamente rare e si presentino, solitamente, molto più tardi.

Comprendere il meccanismo che causa l’insorgenza di una malattia costituisce un importante progresso nella lotta contro patologia stessa e un fondamentale strumento per il corretto trattamento dei pazienti ma, nonostante il fatto siano note da tempo alcune mutazioni genetiche collegate all’insorgenza di LAM e SMD, della maggior parte dei casi familiari non si conosce la causa. E questo suggerisce che possano esistere ulteriori mutazioni genetiche, ancora non conosciute.

Purtroppo, nonostante le osservazioni e la sensazione dei diversi medici, non è ancora effettivamente chiaro a nessuno quale sia l’effettiva dimensione del problema. Il motivo è semplice: manca una misurazione effettuata con un serio metodo scientifico, che garantisca sia la qualità dei dati raccolti che i risultati derivanti dalla loro analisi.

 

Attraverso la propria rete di associati, che comprende oltre 140 centri di ematologia dislocati su tutto il territorio nazionale, il Centro Dati della Fondazione GIMEMA conta di registrare i dati di almeno 600 pazienti in tre anni e fornire così una risposta al quesito scientifico.

 

 

 

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