Un gruppo di ricercatori della Fondazione per la Ricerca dell’Ospedale di Bergamo ha condotto la più grande analisi su pazienti con malattie mieloproliferative che mette a confronto le caratteristiche della prima ondata di COVID-19 con la seconda. I risultati.
A due anni dall’inizio dell’emergenza sanitaria, sono comparse diverse pubblicazione che mettono a confronto la prima ondata di COVID-19 con la seconda in molti paesi come India, Francia e Spagna. Le analisi sono fondamentali per comprendere, tra le altre cose, l’efficacia delle misure prese dal sistema sanitario nazionale o i risultati delle terapie ideate per combattere la malattia.
Da subito è stata posta una particolare attenzione alle persone più fragili che necessitano di cure adeguate e tempestive, fra le quali spiccano i pazienti con malattie mieloproliferative (MPN). Queste sono un gruppo di malattie caratterizzate da proliferazione anomala di cellule staminali del midollo osseo. In altre parole, a causa di tale alterazione, il midollo osseo produce troppi globuli rossi, globuli bianchi o piastrine. Vengono definite anche neoplasie e sono caratterizzate da un’alta mortalità in presenza di un’infezione da COVID-19.
Ad oggi la più grande analisi che mette a confronto le caratteristiche della prima ondata con la seconda, per quanto riguarda i pazienti con neoplasie mieloproliferative, è stata condotta da un gruppo di ricercatori della Fondazione per la Ricerca dell’Ospedale di Bergamo guidati da Tiziano Barbui, professore del dipartimento di medicina e chirurgia dell’Università degli Studi di Milano Bicocca. Lo studio, pubblicato su Leukemia nel gennaio di quest’anno, riporta i risultati registrati nei 12 mesi successivi al declino della prima ondata, valutando il tasso e i fattori di rischio di mortalità, la trombosi e i principali eventi clinici nei pazienti affetti da malattie mieloproliferative sopravvissuti dopo la fase acuta di COVID-19.
Partito nel febbraio del 2020, lo studio ha coinvolto trentanove centri ematologici provenienti da Italia, Spagna, Germania, Francia, Regno Unito, Polonia e Croazia. Questi hanno registrato in totale 175 e 304 casi, rispettivamente nella prima e nella seconda ondata.
I pazienti della seconda ondata presentavano, rispetto a quelli della prima, una malattia meno severa, con un grado inferiore di infiammazione e una minore percentuale di ricoveri.
Nel complesso, il tasso di mortalità è stato significativamente inferiore, probabilmente a causa della tempestività con le quali erano state effettuate le diagnosi di COVID-19, facilitate dalla maggiore disponibilità di tamponi rispetto alla prima ondata.
Inoltre, la gestione dei pazienti infetti è stata più efficiente e i sistemi sanitari erano più preparati ad affrontare eventuali complicazioni. Tuttavia, i tassi di mortalità non si sono abbassati per i pazienti sopra i 70 anni, specialmente se associati a comorbidità.
L’alto tasso di trombosi nei pazienti con trombocitemia essenziale è stato confermato anche nelle analisi sulla seconda ondata, suggerendo che dovrebbe essere approfondito lo studio sulla profilassi antitrombotica in aggiunta alla somministrazione di eparina, trattamento standard utilizzato in questi casi.
Anche nella seconda ondata, ma in misura minore, le conseguenze sulla salute dell’infezione da COVID-19 sui pazienti si sono protratte a lungo oltre l’infezione acuta, suggerendo un’attenta sorveglianza dei pazienti con MPN che sono sopravvissuti alla fase acuta di infezione.
Purtroppo, finora non sono ancora disponibili dati sul ruolo delle vaccinazioni, ma come afferma Barbui: “Le vaccinazioni sono sicuramente importanti e basterà aspettare qualche mese per ottenere una risposta statistica”.