Un nuovo studio retrospettivo, condotto in 37 centri ematologici italiani, evidenzia che un terzo dei pazienti onco-ematologici non sviluppano sieroconversione durante l’infezione da SARS-CoV-2, non producono cioè anticorpi specifici (rilevabili nel sangue) per combattere il virus.
Un recente report, pubblicato su British Journal of Haematology e coordinato da Francesco Passamonti, professore ordinario all’Università dell’Insubria, ha evidenziato che i pazienti affetti da neoplasie ematologiche mostrano un basso tasso di sieroconversione a SARS-CoV-2. La sieroconversione è il processo durante il quale l’organismo, a seguito di un’infezione virale, produce anticorpi specifici (rilevabili nel sangue) per combatterla.
Finora era noto che nei pazienti affetti da neoplasie ematologiche il tasso di mortalità associato a COVID-19 era maggiore: “Variabile comunque in base a diversi fattori – sottolinea il professor Passamonti – come il tipo di neoplasia, la gravità dell’infezione e l’età del paziente”. Tuttavia non erano disponibili dati relativi alla sieroconversione.
L’indagine, denominata ITA-HEMA-COV e condotta in 37 centri ematologici nazionali, ha coinvolto un totale di 237 pazienti positivi a SARS-CoV-2 e colpiti da una neoplasia ematologica. Lo studio retrospettivo ha considerato un arco temporale che va dal 23 febbraio 2020 al 17 febbraio 2021 e ha analizzato le risposte anticorpali di pazienti affetti da differenti patologie tumorali: neoplasie mieloidi (26,2%), neoplasie linfoidi (51.1%) e neoplasie delle cellule del plasma (22,8%). La valutazione è stata condotta a una distanza media di 38 giorni dall’infezione virale: un lasso di tempo più lungo rispetto a quello utilizzato solitamente per analizzare la sieroconversione nei pazienti sani.
I pazienti immunocompromessi impiegano più tempo a sviluppare la sieroconversione. In ogni modo, quasi un terzo dei soggetti considerati dallo studio, 73 su 237 (31%), non ha mostrato sieroconversione.
Si tratta di un dato molto incisivo, poiché nei soggetti sani la risposta anticorpale emerge nel 100% dei casi.
“Fra tutti – commenta il professor Passamonti – i pazienti con linfoma hanno la maggior probabilità di non-sieroconversione (circa il 50%)”. Inoltre, lo studio evidenzia che la sieroconversione è fortemente influenzata dai trattamenti oncologici a cui questi pazienti erano stati sottoposti. “Immunoterapia e immunochemioterapia – rivela Passamonti – sono i trattamenti che riducono sensibilmente in questi pazienti la possibilità di sieroconversione”.
Non è ancora completamente chiaro il meccanismo che provoca il basso tasso di sieroconversione, tuttavia questo studio ha evidenziato il ruolo importante dei trattamenti oncologici nella sua inibizione. “Un limite dello studio – spiega il professore – emerge dal fatto che la valutazione della risposta anticorpale non è stata condotta con lo stesso metodo in tutti i pazienti; tuttavia, i dati provenienti dalla popolazione generale mostrano che la sensibilità dei test è sovrapponibile”.
Da ultimo, ma non meno importante, questa analisi svolge anche un importante ruolo predittivo: considerate le dinamiche emerse, gli studiosi si aspettano un basso tasso di sieroconversione dopo la vaccinazione contro SARS-CoV-2, il cui fattore protettivo è, appunto, la formazione degli anticorpi.