Pubblicati i dati relativi al progetto Respire (REduce cytokine storm in acute reSPIratory DistREss), sulle cure somministrate ai pazienti affetti da COVID-19 che ricevono assistenza respiratoria, presentati dall’Asl Toscana Nord Ovest.
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L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e l’azienda farmaceutica Novartis hanno definito il protocollo terapeutico del Ruxolitinib (Rux), per estendere a un maggior numero di pazienti positivi al COVID la sperimentazione avviata dalla Asl Toscana Nord Ovest. Enrico Capochiani, direttore dell’Unità Operativa Complessa (UOC) di Ematologia, ha pensato di usare il farmaco, già utilizzato in ambito ematologico, sui pazienti COVID per rallentare e inibire gli effetti della “tempesta immunitaria”, che spesso richiede terapie intensive e ventilazione meccanica. Abbiamo chiesto a Monica Bocchia, responsabile dell’UOC di Ematologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese che ha condotto lo studio insieme a Capochiani, di commentare i risultati della sperimentazione recentemente pubblicati sulla rivista Leukemia.
Professoressa Bocchia, che cosa si intende per tempesta immunitaria e in cosa consiste il vostro studio? Come mai il Rux è stato ritenuto un candidato valido per il trattamento dei pazienti COVID?
Fin dalle prime fasi della pandemia, confrontando gli effetti del COVID-19 con quelli del virus della SARS, è emerso che gli organi sono danneggiati dall’eccessiva risposta del nostro sistema immunitario più che dal virus. Quando questo entra nelle cellule polmonari, ne distrugge qualcuna, ma sono le cellule del sistema immunitario che, per eliminare il virus, invadono il polmone compromettendone la funzione. Tali cellule sono richiamate da un’eccessiva produzione di citochine, molecole che intervengono nella risposta immunologica. Il Rux ha una potente e rapida azione anti-citochinica: riducendo le citochine, limita l’eccessiva risposta immunitaria propria dei casi gravi di polmonite da COVID, in cui si verifica perdita di attività polmonare, desaturazione (bassi livelli di ossigeno nel sangue) e intubazione. I pazienti affetti da questa severa forma di polmonite non riescono a respirare a causa delle cellule del sistema immunitario che, nel polmone, occupano lo spazio utile all’ossigeno per arrivare al sangue.
Nello studio parallelo al vostro, condotto da La Rosée e colleghi, i pazienti sono stati trattati con una dose bassa (7 mg) e costante di Rux. Nel vostro protocollo, invece, è stata somministrata una dose inizialmente più alta di Rux (20 mg), ridotta progressivamente nel corso del trattamento. Qual è il motivo di questa diversa strategia terapeutica?
La nostra sperimentazione è nata in uno stato di forte emergenza: l’obiettivo era quello di “spegnere” rapidamente la tempesta citochinica alla base della sintomatologia. Pertanto abbiamo ritenuto più giusto tentare una terapia a dosi elevate di Rux, impiegando la massima dose utilizzata in altre malattie. Questo dosaggio è stato somministrato per i primi due giorni e ridotto nei giorni successivi fino a un massimo di 14 giorni di terapia.
Il vostro progetto ha coinvolto 18 pazienti COVID ambosessi, dai 28 agli 86 anni, in imminente necessità di ricevere ventilazione meccanica. Come hanno risposto al trattamento?
Hanno risposto positivamente 16 pazienti su 18 e non sono stati intubati. Nessuno è deceduto per COVID. I 16 pazienti sono migliorati già entro le prime 48 ore e la maggior parte di loro già respirava naturalmente dopo 7 giorni di terapia.
Avete registrato degli effetti collaterali?
No, abbiamo però osservato una netta riduzione delle citochine coinvolte e degli indici di infiammazione.
Quali sono i prossimi passi nello studio di questa terapia?
Per ora non pensiamo a uno studio successivo, sia perché casi così severi di COVID sono molto meno frequenti, sia perché uno studio più allargato, che confronti diversi dosaggi di Rux, dovrà essere proposto dalla casa farmaceutica che lo produce. Questa esperienza ha suggerito un’importante opzione terapeutica e aperto la strada ad altre sperimentazioni simili, in corso o concluse in Italia e nel mondo, e che definiranno meglio il ruolo di Rux nel paziente critico con polmonite da COVID-19.
È possibile che soggetti che già fanno uso di Rux, come quelli affetti da patologie come la Mielofibrosi Idiopatica, grazie a questo farmaco incorrano più difficilmente in complicazioni nel caso in cui contraggano il COVID?
La Mielofibrosi Idiopatica è una patologia severa ma cronica. I pazienti che ne sono affetti assumono per anni il Rux, e rischiano di venire contagiati dal COVID quanto la popolazione generale. Inoltre, assumendo un immunosoppressore come il Rux, potrebbero superare l’infezione in un tempo maggiore, manifestando sintomi lievi e risultando positivi al tampone più a lungo. In teoria potrebbero non incorrere nella forma grave, scatenata da una risposta immunitaria eccessiva, ma sono solo ipotesi, non circostanziate scientificamente, perché per ora non confermate da studi ulteriori.