La capacità dei microrganismi di resistere agli antibiotici (antimicrobial resistance – AMR) rappresenta uno dei massimi problemi mondiali attuali di sanità pubblica e un serio problema anche per i pazienti emato-oncologici.

“Il mondo si sta dirigendo verso un’era post-antibiotica in cui le infezioni comuni uccideranno ancora una volta. Se le tendenze attuali continueranno, gli interventi sofisticati, come il trapianto di organi, le sostituzioni articolari, la chemioterapia per il cancro e la cura dei bambini prematuri, diventeranno più difficili o addirittura troppo pericolosi da intraprendere. Questo potrebbe anche portare alla fine della medicina moderna come la conosciamo”. A dirlo nel 2016 fu Margareth Chan, già Direttrice Generale dell’OMS.

Più di 35.000 persone muoiono ogni anno in Europa a causa di infezioni resistenti agli antimicrobici e l’Italia è uno dei paesi dove è più elevato il tasso di resistenza. Sono queste le stime presentate in un nuovo rapporto pubblicato il 17 novembre 2022 dall’ECDC (il Centro Europeo per il Controllo delle Malattie).

“Questa situazione rappresenta un serio problema per i pazienti emato-oncologici, il cui sistema immunitario è indebolito sia dalla malattia che dalle cure. Le infezioni resistenti ai farmaci rappresentano il primo ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo di curare queste persone”, spiega Giuseppe Gentile, docente di Malattie infettive presso l’Università di Roma “La Sapienza”.

 

La situazione nel mondo

Per le comuni infezioni batteriche, comprese le infezioni del tratto urinario, la sepsi, le infezioni sessualmente trasmissibili e alcune forme di diarrea, sono stati osservati in tutto il mondo alti tassi di resistenza agli antibiotici frequentemente usati per trattare queste infezioni. I ceppi resistenti si diffondono infatti con estrema facilità in un contesto come quello odierno di facili spostamenti internazionali.

Secondo una revisione pubblicata a inizio 2022 sulla rivista scientifica The Lancet, nel 2019 ci sono stati circa 4,95 milioni di decessi associati alla resistenza antimicrobica batterica. A farla da padrona le infezioni delle vie respiratorie inferiori, le quali hanno rappresentato oltre 1,5 milioni di decessi associati alla resistenza nel 2019, rendendola la sindrome infettiva più gravosa. I sei principali patogeni per decessi associati a resistenza sono Escherichia coli, Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Streptococcus pneumoniae, Acinetobacter baumannii e Pseudomonas aeruginosa.

 

 

Buone notizie per i malati onco-ematologici

“È complesso valutare le ragioni che fanno sì che l’Italia sia fra i paesi con i maggiori tassi di resistenza d’Europa” continua Gentile. “Sicuramente è un tema anche di organizzazione dei servizi sanitari, che devono garantire spazi riservati a pazienti infetti, personale esperto e percorsi dedicati per evitare il rischio di infezioni ospedaliere che alimentano le sacche di resistenza. Il problema è che se fino a pochissimi anni fa le infezioni da microbi resistenti avvenivano quasi sempre in ambito ospedaliero, oggi si riscontrano sempre più casi di contagio domestico o a livello ambulatoriale”.

La buona notizia – continua Gentile – è stato l’arrivo sul mercato negli ultimissimi anni di almeno 6 farmaci innovativi – a cui se ne aggiungono altri in fase di sperimentazione – che hanno abbattuto i tassi di mortalità per sepsi in pazienti in cura. Fra i pazienti onco-ematologici quelli affetti da leucemia mieloide acuta sono particolarmente suscettibili alle infezioni batteriche quali le infezioni da Klebsiella pneumoniae multiresistenti.

“Usando questi nuovi farmaci innovativi nel nostro gruppo di ricerca, per esempio, abbiamo riscontrato una diminuzione drastica dei casi di sepsi incurabile da Klebsiella pneumoniae: dal 70% del periodo 2012-17 al 7% di casi mortali di oggi in cui non è possibile intervenire.

Chiaramente non è una soluzione definitiva.

 

La resistenza corre più veloce della ricerca

Il problema è in grado di vanificare risultati importanti delle scienze biomediche, portando con sé conseguenze a lungo termine, specie per i malati onco-ematologici, più sensibili a infezioni di diversa natura e spesso gravi. Accanto alle conseguenze individuali, l’AMR porta a gravi rischi per la salute pubblica e ripercussioni a livello economico su scala globale. Questo perché la formazione di nuove sacche di resistenza alle molecole in commercio corre più veloce rispetto alla nostra capacità di mettere a punto farmaci in grado di contrastarla, il cui sviluppo richiede anni di ricerca. Senza contare il fatto che i farmaci di ultima generazione sono molto più costosi dei farmaci prodotti nel passato.

Siamo e saremo sempre un passo indietro.

La principale fonte del problema è l’uso scorretto o l’abuso di antibiotici, che stanno rendendo batteri fino a qualche decennio fa debellabili, sempre più difficili da sconfiggere.

La tubercolosi è l’esempio più pericoloso. La MDR-TB (tubercolosi resistente) richiede oggi cicli di trattamento sempre più lunghi, che però si rivelano meno efficaci e molto più costosi di quelli per la tubercolosi non resistente: meno del 60% delle persone trattate per MDR/RR-TB guarisce.

 

Consumo di antibiotici e agroalimentare

Se si trattasse soltanto di prescrivere e consumare meno antibiotici rispetto a quanto effettivamente necessario, da parte di medici pediatri e famiglie, lo scenario sarebbe molto meno grave.
Il problema è piuttosto l’utilizzo di antibiotici negli altri settori dell’economia, in primis nell’industria agroalimentare.

Secondo l’ultimo documento dell’ECDC, datato marzo 2022, nel 2018, in 29 paesi EU sono state utilizzate 4.264 tonnellate di antibiotici per uso umano corrispondenti a un consumo medio di antibiotici di 133 mg di sostanza attiva per kg di biomassa stimata, mentre negli animali da produzione alimentare sono state utilizzate 6.358 tonnellate di antibiotici corrispondenti a un consumo medio di antibiotici di 105 mg per kg di biomassa stimata.

Il consumo complessivo di antibiotici nell’uomo è tuttavia diminuito dal 2014 e dati per il 2020 suggeriscono che è sceso ancora di più durante il primo anno della pandemia di COVID-19. La stessa tendenza si è riscontrata nell’uso di antibiotici negli animali da produzione alimentare dal 2014.

Questo in Europa. In gran parte del mondo è purtroppo ancora un’altra storia.