In un recente numero della rivista scientifica Haematologica è stato pubblicato uno studio, scritto da De Ligt e collaboratori, nel quale l’angio-risonanza magnetica (MRA) è stata utilizzata come strumento di screening per l’identificazione dei pazienti pediatrici affetti da anemia falciforme più a rischio di sviluppare un ictus.
L’anemia falciforme è una patologia con una significativa variabilità fenotipica; questo comporta una notevole difficoltà nello sviluppare approcci basati su una medicina di precisione, che sia sempre più personalizzata. In questo contesto, l’ictus e altri eventi cerebrovascolari continuano a causare una mortalità e una morbilità significative nei bambini affetti da questa patologia, provocando un impatto importante in termini di disabilità (motoria e/o cognitiva).
I protocolli attuali prevedono, per i bambini a rischio di sviluppare un ictus in base al doppler transcranico (TCD), le trasfusioni di globuli rossi periodiche, che si sono rivelate molto efficaci. Tuttavia, il regime trasfusionale cronico comporta un “appesantimento” delle cure, aumenta il rischio di sovraccarico di ferro e di alloimmunizzazione (il sistema immunitario produce anticorpi contro gli antigeni dei globuli rossi estranei al proprio organismo), con conseguenti ripercussioni negative sulla qualità di vita dei pazienti, dei loro familiari e care giver, e sulle risorse del sistema sanitario. Da qui la necessità di una metodica in grado di stratificare i pazienti, suggerendo approcci terapeutici personalizzati.
Per testare questo nuovo protocollo di screening, gli autori hanno sospeso la trasfusione di globuli rossi in più di 200 bambini di età compresa tra i 2 e i 18 anni con risultati da TCD anormali e valori di angio-risonanza magnetica (MRA) nella norma, riprendendo la regolare terapia trasfusionale solo nei casi in cui l’MRA mostrava una stenosi (restringimento) vascolare intracranica (che veniva classificata sulla base della gravità in lieve – 25-49%; moderata – 50-74%; grave 75-99%; occlusione >99%).
I risultati di questa analisi retrospettiva, che prende in considerazione dati per un periodo di circa 22 anni, suggeriscono che l’MRA può contribuire a migliorare l’identificazione precoce dei pazienti con un rischio maggiore di sviluppare un evento cerebrovascolare, e ridurre quindi la percentuale di bambini che devono iniziare una terapia trasfusionale cronica: nessuno dei pazienti con TCD anormale e MRA nella norma, infatti, ha poi sviluppato un ictus in questo studio.
“L’approccio descritto, se confermato e validato su casistiche più ampie, potrebbe consentire di limitare l’uso della terapia trasfusionale cronica – commenta Giovanna Russo, direttrice dell’Unità Ematologia e Oncologia Pediatrica dell’Azienda Sanitaria Policlinico Rodolico-San Marco, a Catania, e co-autrice di un editoriale a commento dello studio, pubblicato sulla stessa rivista – La metodica di screening oggi utilizzata per identificare i pazienti a rischio di sviluppare un ictus è infatti il TCD; purtroppo però ci sono dei limiti, dovuti alla specifica standardizzazione dei valori soglia che vengono utilizzati, alla necessaria expertise richiesta agli operatori, alla disponibilità non sempre presente su tutto il territorio nazionale”.
Continua Raffaella Colombatti, coordinatrice del gruppo di lavoro AIEOP e professore associato di Pediatria presso l’Università degli Studi di Padova, co-autrice dell’editoriale: “D’altro canto anche l’uso della MRA nei lattanti può presentare dei limiti dovuti alla esecuzione, come la necessità di sedazione, ma anche all’interpretazione del grado di stenosi e alla correlazione con i risultati del TCD, per cui è necessaria una formazione adeguata”.
Infine, un altro fattore importante da considerare è l’uso concomitante di trattamenti a base di idrossiurea o di altre terapie, che potrebbero quindi rappresentare una valida alternativa alla trasfusione nella prevenzione della vascolopatia cerebrale.
Nonostante queste limitazioni, i risultati dello studio di De Ligt e colleghi sembrano essere molto incoraggianti per l’implementazione della medicina di precisione nella anemia falciforme, permettendo una stratificazione più accurata del rischio cerebrovascolare nei pazienti pediatrici, e quindi una calibrazione più mirata di interventi e trattamenti (che potrebbero venire così adattati alla situazione clinica individuale o a sottogruppi ben definiti). Per raggiungere questi obiettivi, sono necessari studi prospettici ad hoc per chiarire al meglio le effettive potenzialità di questo protocollo di screening.
L’editoriale è consultabile qui: https://haematologica.org/article/view/haematol.2024.285328
Lo studio di De Ligt e colleghi invece è disponibile qui: https://haematologica.org/article/view/haematol.2023.284506