Disponibile un documento con le risposte dei medici GIMEMA alle domande più frequenti rivolte loro dai pazienti con NMP.

Nel corso di questo anno l’avvento della pandemia di COVID-19 ha complicato la vita di quasi tutte le persone, soprattutto di quelle con una neoplasia mieloproliferativa cronica (NMP) come la Policitemia Vera, Trombocitemia essenziale e Mielofibrosi idiopatica.

Un gruppo di ematologi esperti, coordinati dal professore Alessandro M.  Vannucchi di Firenze, ha lavorato alla redazione di un documento per andare incontro ai dubbi dei pazienti affetti da una neoplasia mieloproliferativa cronica (NMP) rispondendo ad alcune domande più frequenti. Il documento risponde, tra le altre cose, ai dubbi sui comportamenti da tenere una volta ricevuta la comunicazione della diagnosi di una delle forme di malattia, oppure sulla gestione della terapia già in corso in tempo di COVID-19, comprese quelle che richiedono un accesso in ospedale (trasfusioni e trapianti di midollo), ma anche note sulla gravidanza o comportamenti in caso di positività al COVID-19.

 

Questo breve testo è per le persone con una neoplasia mieloproliferativa cronica (NMP) che, ai tempi della pandemia COVID-19, hanno dubbi e domande in cerca di risposta. Un gruppo di ematologi italiani, particolarmente dediti alla gestione delle NMP, condivide di seguito le proprie riflessioni che non hanno la pretesa di essere indicazioni né tanto meno prescrizioni cliniche o terapeutiche ma, sulla base di esperienza piuttosto che di dati scientifici non ancora disponibili, possono aiutare a trovare parziale risposta a quelle domande, e certamente a generarne di nuove. Con la speranza che queste riflessioni possano essere utili.

Alessandro M Vannucchi, Firenze (coordinatore del progetto)
Francesco Albano, Bari
Andrea Bacigalupo, Roma
Massimo Breccia, Roma
Paola Guglielmelli, Firenze
Alessandra Iurlo, Milano
Bruno Martino, Reggio Calabria
Valerio De Stefano, Roma
Francesca Palandri, Bologna
Francesco Passamonti, Varese
Emanuela Sant’Antonio, Lucca
Sergio Siragusa, Palermo

 

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SCENARIO 1. Il mio medico ha riscontrato alterazioni degli esami emocromocitometrici o rilevato segni e sintomi sospetti di NMP per cui suggerisce di effettuare una visita specialistica ematologica. Che debbo fare?

In relazione alla gravità dei sintomi e/o delle alterazioni dei valori agli esami il suo medico di medicina generale le rilascerà una richiesta di visita ematologica con un codice di priorità che le permetterà di prenotare la visita specialistica. Purtroppo, a causa della pandemia potrebbero esserci dei ritardi rispetto ai normali tempi di attesa. In alcuni centri di Ematologia sono stati attivati dei canali preferenziali di comunicazione con i medici di medicina generale che possono permettere di pre-valutare il suo caso ed identificarne l’eventuale urgenza.

SCENARIO 2. L’ematologo al quale mi sono riferito/a, conferma il sospetto diagnostico e suggerisce di effettuare ulteriori esami, inclusi la biopsia del midollo. Che debbo fare?

Una diagnosi accurata è fondamentale per inquadrare correttamente il tipo e le caratteristiche della sua NPM e per impostare le terapie in modo appropriato. Un’adeguata definizione della patologia ematologica potrà ottimizzare la Sua gestione durante la pandemia. Pertanto, segua il suggerimento del Suo ematologo, ed effettui tutte le indagini suggerite.

SCENARIO 3. Ho appena ricevuto una diagnosi di trombocitemia essenziale. Quali raccomandazioni posso attendermi ai tempi del COVID-19?

Oltre alle raccomandazioni applicabili alla popolazione generale, nella trombocitemia essenziale bisogna avere qualche accortezza aggiuntiva. Va ricordato che, come nelle NPM in generale, il rischio di eventi trombotici è aumentato di circa 2-4 volte rispetto ai soggetti sani. A questo intrinseco rischio trombotico tipico della malattia, va aggiunto l’effetto dell’infezione da COVID-19. Come è ormai noto, tale virus è infatti responsabile di un’aumentata attivazione del sistema della coagulazione che facilita l’insorgenza di eventi trombotici, sia di tipo arterioso che venoso. Alla luce di ciò, è importante che il medico di famiglia sia a conoscenza della patologia ematologica e del conseguente rischio trombotico, in modo che, al minimo sospetto clinico di infezione da COVID-19, possa prontamente iniziare una terapia con eparina a basso peso molecolare. L’introduzione di tale terapia è infatti raccomandata dalla Società Internazionale di Emostasi e Trombosi, a meno di importanti rischi emorragici.

SCENARIO 4. Ho appena ricevuto una diagnosi di Policitemia Vera. Quali raccomandazioni posso attendermi ai tempi del COVID-19?

Alla diagnosi di Policitemia Vera, il Suo ematologo le descriverà i fattori che influenzano il rischio trombotico e imposterà la terapia. I pazienti sono considerati a basso rischio se sono di età inferiore a 60 anni e non hanno mai avuto episodi trombotici, o ad alto rischio se almeno uno dei due criteri è presente. In tutti i pazienti, è necessario controllare i cofattori di rischio cardiovascolare (sovrappeso, tabagismo, dislipidemia, ipertensione arteriosa), assumere terapia anti-aggregante con basse dosi di aspirina e iniziare la salassoterapia al fine di riportare, e poi mantenere, l’ematocrito al di sotto del 45%. Durante la pandemia, in casi selezionati, l’ematologo potrebbe suggerire di aumentare la soglia di ematocrito per la salassoterapia a 48%, al fine di ridurre gli accessi in Ematologia e i rischi di contagio, ma questo dovrebbe avvenire il più raramente possibile e per breve tempo, se strettamente necessario. Nei pazienti ad alto rischio trombotico, e anche in alcuni pazienti a basso rischio, è indicato iniziare una terapia citoriduttiva. La decisione di iniziare la terapia, e la scelta del farmaco migliore, sarà valutata dal Suo ematologo in base alle Sue caratteristiche cliniche. Se ci fossero impedimenti ad eseguire le visite ematologiche e/o gli esami ematici di controllo, l’ematologo potrebbe ritardare l’inizio della terapia citoriduttiva, valutando il rapporto rischio/beneficio in ciascun paziente. Complessivamente, l’inizio della terapia citoriduttiva non ha controindicazioni assolute ai tempi del COVID-19.

SCENARIO 5. Ho appena ricevuto una diagnosi di mielofibrosi pre-fibrotica. Quali raccomandazioni posso attendermi ai tempi del COVID-19?

La diagnosi di mielofibrosi pre-fibrotica non la espone ad un rischio di infezione da Sars-CoV-2 significativamente maggiore rispetto alla popolazione sana che ha la sua stessa età, il suo sesso o con altre patologie che potrebbe presentare anche lei. Nel caso in cui sia richiesto di iniziare un nuovo trattamento non vi sono dati che indichino un aumentato rischio di contrarre la malattia da COVID-19 legato a farmaci abitualmente impiegati (es. idrossiurea, ruxolitinib) o ad altri in corso di sperimentazione clinica. È raccomandato effettuare le visite di controllo programmate dal suo ematologo di riferimento per un controllo accurato dei valori del sangue e soprattutto in caso di comparsa di nuovi sintomi. Le esperienze effettuate fino ad oggi sottolineano l’importanza di una presa in carico continuativa dei pazienti con mielofibrosi, includente anche le terapie mediche, eventualmente ricorrendo alle visite di telemedicina se fattibile e ritenuto adeguato.

SCENARIO 6. Ho appena ricevuto una diagnosi di mielofibrosi primaria fibrotica. Quali raccomandazioni posso attendermi ai tempi del COVID-19?

Per i pazienti con nuova diagnosi di mielofibrosi in forma fibrotica è raccomandato attenersi scrupolosamente alle indicazioni di natura igienico-sanitaria e alle norme di comportamento sociale, che sono suggerite per la popolazione generale. Anche ai tempi del COVID-19, la migliore condotta terapeutica per il singolo paziente viene scelta e modulata sulla base del rischio clinico e/o clinico-molecolare – stimato mediante l’utilizzo degli score prognostici tradizionali, quali l’IPSS, il DIPSS/DIPSS-plus ed il MIPSS70. Non vi sono motivazioni per posticipare l’inizio di un trattamento con farmaci antiaggreganti e/o con farmaci citostatici come l’idrossiurea, così come non vi è motivo di modificarne la dose o sospenderne l’assunzione, se già in corso. Anzi, ottenere e mantenere un controllo ottimale della patologia ematologica rimane il principale obiettivo terapeutico. Se indicati sulla base delle caratteristiche del singolo paziente e sulla base della sua classe di rischio, i farmaci JAK-inibitori come il Ruxolitinib rimangono un’opzione terapeutica percorribile, ma la decisione in merito all’inizio del trattamento va individualizzata e discussa a fondo con il proprio ematologo di riferimento. Se le condizioni generali ed il compenso ematologico lo consentono, le visite mediche tradizionali possono essere dilazionate e/o integrate da contatti condotti attraverso percorsi di telemedicina, così come può essere favorita ed incentivata l’esecuzione dei prelievi di sangue necessari per il monitoraggio della patologia presso laboratori locali, prossimi al proprio domicilio.

SCENARIO 7. Sono un soggetto con trombocitemia essenziale. Devo, e se sì, in che modo, modificare la mia gestione abituale ai tempi del COVID-19?

Non ci sono indicazioni specifiche da seguire diverse da quelle che, ai tempi della pandemia, valgono per tutti: distanziamento sociale, uso della mascherina, disinfezione frequente delle mani. Nel caso in cui sia in corso un trattamento farmacologico per la trombocitemia essenziale, sia esso antiaggregante e/o citoriduttivo, è necessario continuare ad attenersi strettamente alle indicazioni terapeutiche fornite dallo specialista ematologo presso il quale si è in cura.

SCENARIO 8. Sono un soggetto con policitemia vera. Devo, e se sì, in che modo, modificare la mia gestione terapeutica abituale ai tempi del COVID-19?

Non vi sono dati che indichino un rischio di infezione significativamente maggiore legato ai farmaci abitualmente impiegati (oncocarbide, interferone, ruxolitinib). Pertanto non vi è necessità di modificare in maniera sostanziale la terapia e la gestione abituale. In particolare, è raccomandato continuare, in principio, ad avere come obiettivo un valore di ematocrito non superiore a 45%, ma considerazioni di ordine logistico, legate soprattutto allo stato dei contagi locali, suggeriscono che, per un periodo di tempo breve e in assenza di sintomatologia da aumentata viscosità ematica (cefalea, parestesie, prurito incoercibile, e simili) si possa tollerare un valore di ematocrito superiore, fino al 48%. Molto utile in tale evenienza aumentare l’apporto idrico giornaliero, laddove possibile. Quindi in caso di valori superiori a tale soglia, il salasso non va rinviato. È utile incrementare, laddove possibile, le modalità di telemedicina per ridurre gli accessi in ospedale; tuttavia è raccomandato effettuare visite in presenza qualora dovessero manifestarsi sintomi evocativi di complicanze vascolari o legate a farmaci (p.es. lesioni cutanee da oncocarbide), o comunque altri segni e sintomi di nuova insorgenza. La telemedicina è un complemento, ma non può sostituire le normali visite cliniche in presenza.

SCENARIO 9. Sono un soggetto con mielofibrosi Pre-fibrotica. Devo, e se sì, in che modo, modificare la mia gestione abituale ai tempi del COVID-19?

Ad oggi, non c’è evidenza che le terapie utilizzate nella cura della mielofibrosi pre-fibrotica possano aumentare la probabilità di contrarre l’infezione COVID-19. Pertanto, la gestione abituale della patologia non dovrebbe subire modificazioni significative ai tempi del COVID-19. Tuttavia, il Suo ematologo potrebbe decidere di effettuare alcune modifiche terapeutiche in caso, durante la pandemia, non Le fosse possibile effettuare le visite ematologiche o gli esami ematici di controllo. Le modifiche possono riguardare sia la terapia citoriduttiva che la terapia antitrombotica, e sono finalizzate a ridurre la frequenza delle valutazioni cliniche e laboratoristiche, diminuendo anche la possibilità che eventuali effetti collaterali vengano trascurati.

SCENARIO 10. Sono un soggetto con mielofibrosi primaria fibrotica. Devo, e se sì, in che modo, modificare la mia gestione abituale ai tempi del COVID-19?

Al momento non esistono dati che suggeriscono che farmaci non immunosoppressivi come idrossiurea (oncocarbide) possano aumentare il rischio di contrarre l’infezione da COVID-19 o una forma grave di questo stesso. Pertanto non raccomandiamo modificazioni delle terapie in atto. Un buon controllo della malattia è infatti importante per evitare un ulteriore aumento delle complicanze associate alla mielofibrosi. In generale, si ritiene che i pazienti con forme di mielofibrosi a rischio più elevato possano essere maggiormente esposti ad eventi avversi se contraggono l’infezione COVID-19. Per tale motivo raccomandiamo che soltanto i pazienti che hanno una malattia stabile siano seguiti mediante visite di telemedicina, utilizzando laboratori più prossimi alla residenza, se possibile, specialmente in quelle regioni in cui l’infezione è molto diffusa nella comunità. Per i pazienti che sono in terapia con JAK inibitori (ruxolitinib, fedratinib, altri) non vi sono dati che indichino un aumento del rischio di contrarre la malattia da COVID19; al contrario, le informazioni ottenute da uno studio europeo in pazienti con COVID-19 suggeriscono fortemente che la sospensione di ruxolitinib in corso di infezione da COVID-19 possa essere deleteria e dovrebbe essere evitata comunque, a meno che non vi siano indicazioni forti contrarie.

SCENARIO 11. Sono un soggetto con Mielofibrosi Primaria fibrotica e ricevo supporto trasfusionale regolarmente. Devo, e se sì, in che modo, modificare la mia gestione abituale ai tempi del COVID-19?

Il supporto trasfusionale è una terapia necessaria e non sostituibile, pertanto va proseguita con le usuali cadenze, dettate dal quadro clinico e dalle caratteristiche del singolo paziente. Ai tempi del Covid-19, ogni Centro ha implementato alcuni accorgimenti mirati ad aumentare la sicurezza dei pazienti e ad ottimizzarne l’accesso alle strutture sanitarie: è raccomandato discuterne in dettaglio con i propri medici di riferimento. Per limitare gli spostamenti, anche all’interno delle singole regioni, può essere incentivato l’accesso presso Servizi Immunotrasfusionali prossimi al proprio domicilio, anche se diversi dal proprio Centro di riferimento abituale. Ove disponibili e se coerenti con le caratteristiche individuali del paziente, possono essere utilizzati i servizi di supporto a domicilio.

SCENARIO 12. Sono un soggetto con Mielofibrosi Primaria fibrotica e sono in lista per effettuare il trapianto di cellule staminali. Il programma resta valido, o deve essere modificato, ai tempi del COVID-19?

Nel corso del 2020, in piena epoca COVID, nella gran parte dei centri trapianto italiani è stato proseguito il programma di trapianti di midollo allogenico, con minima riduzione dei numeri, soprattutto a causa di problemi con i collegamenti aerei. Quindi il programma trapianto resta valido, e i tempi dipendono in grande parte dallo stato della malattia. Un paziente con mielofibrosi stabile, non trasfusione dipendente, con conte ematologiche buone, ma in lista trapianto per caratteristiche cliniche particolari e biologiche (presenza di mutazioni aggiuntive prognosticamente sfavorevoli) può anche attendere qualche mese. Un paziente con mielofibrosi sottoposto a intenso regime trasfusionale, con splenomegalia importante refrattaria alla terapia con farmaci, viene avviato più rapidamente. In pratica, il comportamento non è dissimile da quello in epoca pre-COVID.

SCENARIO 13. Sono un soggetto con Mielofibrosi Primaria fibrotica, o con Policitemia Vera, e ricevo ruxolitinib, che ho letto può avere attività immunosoppressiva. Devo, e se sì, in che modo, modificare la mia gestione abituale ai tempi del COVID-19?

È noto che ruxolitinib può influenzare negativamente la risposta immunitaria attraverso le cellule deputate ai meccanismi di difesa, quali i linfociti T, le cellule NK e le cellule dendritiche. Come conseguenza, è possibile che in corso di terapia si verifichi la riattivazione del virus della Varicella-Zoster, oltre a casi di infezione virale o batterica. Questo effetto negativo è però bilanciato dal fatto che gli inibitori di JAK, come ruxolitinib, hanno la capacità di ridurre i livelli di citochine pro-infiammatorie responsabili di molti sintomi delle NPM. Per la sua azione anti-infiammatoria, non è consigliabile effettuare una repentina sospensione del farmaco anche nei pazienti già in terapia che eventualmente contraggano l’infezione da Sars-CoV-2, in quanto, come riportato in un recente lavoro, tale manovra potrebbe addirittura peggiorare il quadro clinico, in particolare polmonare. Se la terapia con ruxolitinib possa aumentare il rischio di contrarre l’infezione, non è ancora noto. Va inoltre segnalato che tale farmaco è stato proposto come uno dei possibili approcci terapeutici per ridurre l’abnorme rilascio di citochine pro-infiammatorie scatenato dal Sars-CoV-2. In un recente studio, infatti, è stato riportato come l’uso di ruxolitinib nell’infezione da Sars-CoV-2, indipendentemente dalla presenza di patologie ematologiche, sia sicuro e contribuisca a migliorare la funzione polmonare e la prognosi. Alla luce di quanto detto, non va modificata l’assunzione di tale farmaco, se non diversamente indicato dall’ematologo curante.

SCENARIO 14. Sono un soggetto con NMP e ricevo interferone, che ho letto potrebbe alterare le reazioni immunitarie. Devo, e se sì, in che modo, modificare la mia gestione abituale ai tempi del COVID-19?

L’interferone ha un’ampia attività antivirale ed è attualmente in fase di sperimentazione anche per il trattamento dell’infezione da COVID-19, in quanto tale farmaco ha la capacità di ridurre la replicazione del virus. Se si è già in trattamento con interferone, non è necessaria alcuna modifica terapeutica, in quanto, dai dati riportati in letteratura, l’utilizzo di questa terapia non aumenta il rischio di contrarre l’infezione da Sars-CoV-2. Anche in caso di infezione conclamata da COVID-19, non vi è evidenza che tale terapia debba essere modificata, anche alla luce del fatto che un buon controllo della malattia ematologica di base riduce il rischio di eventi trombotici, già di per sé significativamente aumentato in corso di infezione da COVID-19.

SCENARIO 15. Sono un soggetto con NMP e ricevo idrossiurea, che ho letto potrebbe alterare i parametri ematologici. Devo, e se sì, in che modo, modificare la mia gestione abituale ai tempi del COVID-19?

L’idrossiurea è un farmaco citoriduttivo, largamente utilizzato come terapia cronica quotidiana nelle NPM. Attualmente non ci sono dati che suggeriscono che l’idrossiurea aumenti il rischio di infezione da COVID-19. Si ritiene pertanto che la terapia non vada modificata con riduzioni di dose. Al contrario si ritiene opportuno continuare la terapia per ridurre il rischio di eventi trombotici frequenti in caso di infezione da COVID-19. In tal senso, l’uso dell’idrossiurea come prevenzione di fenomeni ischemici è stato considerato e raccomandato anche in altre patologie come l’anemia drepanocitica in corso di infezione da COVID-19. Ciò che si può raccomandare, laddove la malattia sia stabile, è di eseguire controlli dell’emocromo presso laboratori locali e di trasmettere i risultati ai propri ematologi curanti per evitare frequenti visite presso il centro ematologico.

SCENARIO 16. Sono un soggetto con NMP e ricevo terapia antiaggregante e/o anticoagulante perché ho avuto una trombosi o ho altri fattori di rischio. Devo, e se sì, in che modo, modificare la mia gestione abituale ai tempi del COVID-19.

No. Non vi sono indicazioni a che venga modificata la terapia antiaggregante o anticoagulante in atto.

SCENARIO 17. Sono un soggetto con NMP, e lavoro al pubblico. Mi devo considerare un immunodepresso? Devo, e se sì, in che modo, modificare i miei comportamenti ai tempi del COVID-19?

Un certo grado di immunodepressione può essere presente solo nei casi con mielofibrosi avanzata o in trattamento con ruxolitinib. Questi soggetti devono adottare in maniera stringente, le abituali raccomandazioni di profilassi dell’infezione da Sars-Cov2 (uso di mascherina, frequente igiene delle mani, distanziamento sociale); attivare quanto più possibile procedure di smart working, evitando preferibilmente attività lavorative in ambienti affollati. In caso di situazioni lavorative per le quali è, imprescindibilmente, necessario partecipare di persona a incontri di lavoro si raccomanda di mantenere una distanza di almeno un metro (meglio due) dai colleghi, invitandoli a indossare una mascherina e a eseguire le corrette norme igieniche prima del contatto, compresa la sanificazione degli ambienti (cfr. raccomandazioni del Ministero della Salute per le persone immunodepresse, 30 marzo 2020)

SCENARIO 18. Sono un soggetto con NPM. Sono a maggior rischio di ammalarmi di COVID-19? Ho diritto ad essere esentato dal lavoro?

A tutt’oggi non sono disponibili segnalazioni scientifiche su una maggiore incidenza di infezioni da COVID-19 nei pazienti oncoematologici. È invece chiaro che il tasso di mortalità è 2,4 volte maggiore rispetto alla popolazione generale affetta da COVID-19. Sulla problematica lavorativa il Ministero del Lavoro e quello della Salute hanno emanato, il 4 settembre 2020, una Circolare congiunta sulla sorveglianza sanitaria nei luoghi di lavoro e del contenimento del rischio di contagio da COVID-19 allo scopo di identificare i lavoratori fragili. È il medico competente che identifica il paziente fragile che può ottenere l’esenzione dal lavoro o richiedere al datore di lavoro l’attivazione di misure specifiche. La fragilità è presente nelle fasce di età più elevate della popolazione e va intesa congiuntamente alla presenza di più comorbilità. Quindi, non è sufficiente una diagnosi di neoplasia mieloproliferativa cronica se questa non è accompagnata da più comorbilità.

SCENARIO 19. Sono un soggetto con NPM, e sono stato appena informato di avere il tampone positivo, ma sono asintomatico. Quali sono i miei rischi aggiuntivi legati alla mia malattia NMP?

È necessario porsi in assoluto isolamento per non rischiare di diffondere il virus. Monitori la temperatura corporea e la saturazione di ossigeno (il contenuto di ossigeno nel sangue), se possibile tre volte al giorno e si riposi. Se comparissero sintomi avverta il suo medico di medicina generale e il suo ematologo. Se non dovessero comparire sintomi, non cambi nulla della sua terapia in corso per la NPM. Se dovessero comparire sintomi leggeri, non cambi nulla della sua terapia in corso per la NPM, ma deve essere valutata l’indicazione all’uso dell’eparina a basso peso molecolare, per ridurre il rischio di complicanze trombotiche. Se dovessero comparire sintomi importanti o alterazioni della saturazione rilevanti, si rivolga al curante o in ospedale. In questo caso l’infettivologo insieme all’’ematologo decideranno la terapia più opportuna per lei.

SCENARIO 20. Sono un soggetto con NPM, sto assumendo terapia citoriduttiva (incluso Interferone), e sono stato appena informato di avere il tampone positivo, ma non ho sintomi. Come devo comportarmi con la terapia?

In primis, dopo aver informato il medico di medicina generale, contatti l’Ematologo di riferimento per avere indicazioni in merito alla gestione della terapia che sta assumendo. Nella maggior parte dei casi infatti la terapia che sta assumendo può essere mantenuta, e solo in alcune situazioni le potrebbe essere consigliato di ridurne il dosaggio o di sospenderla. Inoltre, in relazione alla sintomatologia in atto, potrebbe dover assumere dei farmaci per SARS-COV2 e dovere conseguentemente modificare la terapia in corso per la sua diagnosi di NMP. Non modifichi la sua terapia in assenza di indicazioni mediche.

SCENARIO 21. Sono un soggetto con NPM, sto assumendo ruxolitinib, e sono stato appena informato di avere il tampone positivo, ma non ho sintomi. Devo cessare il farmaco?

Non è necessario sospendere il farmaco. L’effetto della sospensione o della riduzione di ruxolitinib nei pazienti risultati positivi per COVID-19 non è noto, ma il farmaco è stato suggerito come possibile agente farmacologico nei pazienti infetti con forme critiche. È infatti nota la sua azione di riduzione del livello di citochine (proteine prodotte dall’uomo che svolgono un ruolo importante nell’infiammazione) e la sua potenziale azione contro la tempesta citochinica prodotta dal virus COVID-19. Alcuni dati preliminari hanno evidenziato un ruolo positivo del farmaco nei pazienti con polmonite da COVID-19 con rapido recupero delle condizioni generali e più rapida dimissione ospedaliera. La sospensione improvvisa del farmaco può causare al contrario una progressiva splenomegalia e incremento di produzione di citochine con ritorno dei sintomi che potrebbe peggiorare il decorso dell’infezione, e comportare un peggioramento della prognosi. La sospensione del farmaco deve essere eseguita gradualmente e deve essere guidata dal proprio medico curante.

SCENARIO 22. Sono un soggetto con NPM, sto assumendo ruxolitinib, e sono stato appena informato di avere il tampone positivo, ed ho sintomi per cui mi devo ricoverare. Devo cessare il farmaco?

Non ci sono dati a supporto di una sospensione necessaria. Ci sono, al contrario, sperimentazioni in corso con il farmaco in pazienti che presentano un’infezione critica da COVID-19 con sintomatologia respiratoria e necessità di ventilazione meccanica, sebbene i primi dati non abbiano dimostrato, con i bassi dosaggi di farmaco utilizzati, un impatto positivo. In uno studio in cui ruxolitinib è stato utilizzato ad uso compassionevole in 34 soggetti non affetti da malattia mieloproliferativa in severe condizioni di salute legate all’infezione da Covid-19, a dosi più elevate, la sopravvivenza è risultata superiore al 90% con un miglioramento evidente e rapido del profilo citochinico e delle funzioni respiratorie e un’incrementata possibilità di dimissione ospedaliera. La sospensione del farmaco, se necessaria, deve avvenire gradualmente e sotto la supervisione dell’ematologo curante.

SCENARIO 23. Sono un soggetto con NPM, ed avevo discusso con il mio ematologo la possibilità di essere inserito in uno studio clinico sperimentale. Potrò iniziare lo studio anche adesso, ai tempi del COVID?

Si presuppone che, se riferito ad uno studio clinico, lei non disponga di opzioni terapeutiche efficaci e/o che le precedenti terapie si siano dimostrate inefficaci. Sarà quindi il suo ematologo che valuterà l’effettiva urgenza di iniziare una nuova terapia, tenendo in considerazione anche fattori logistici, quali la lontananza del suo domicilio dal centro di sperimentazione, l’andamento dei contagi nella zona, l’intensità delle visite previste dal protocollo. Nella maggior dei centri italiani, l’arruolamento dei pazienti negli studi clinici è proseguito, sia pure con molte attenzioni, ma sempre per soddisfare il bisogno di trattamento.

SCENARIO 24. Sono un soggetto con NPM, e non ho chiaro se debba o possa fare il vaccino antiinfluenzale e/o l’antipneumococcico. Cosa è raccomandabile?

La vaccinazione antinfluenzale è indicata a tutte le persone e in particolare ai pazienti affetti da neoplasie. La vaccinazione è sicura e non reca danni in quanto i vaccini sono frazioni virali inattivati. La vaccinazione antipneumococcica ha indicazione nella popolazione sana sopra i 65 anni ma è indicata nei pazienti ematologici in tutte le fasce di età.

SCENARIO 25. Sono un soggetto con NPM, e sto attendendo -come tutti- che arrivi un vaccino per il virus del COVID-19. Come mi potrò comportare allora? In generale, la diagnosi di NPM non esclude dalla possibilità di essere vaccinati per il Covid-19. La priorità dipenderà dallo stato di salute, dalle eventuali altre comorbidità in corso (fragilità) e dal tipo di terapia.

Il documento ministeriale dell’8.2 us (“raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19”) indica che i “Pazienti onco-ematologici in trattamento con farmaci immunosoppressivi, mielosoppressivi o a meno di 6 mesi dalla sospensione delle cure e conviventi” vengono considerati “soggetti particolarmente vulnerabili” e, quindi, inseriti fra coloro i quali avranno elevata priorità nella somministrazione del vaccino, entrando di fatto nella fase 2 del piano vaccinale. Come suggerito dalle indicazioni della Società Italiana di Ematologia, la vaccinazione è indicata sostanzialmente in tutti i pazienti ematologici, inclusi coloro i quali sono affetti da MPN. Questi pazienti non sono stati inclusi negli studi clinici con i diversi vaccini, quindi non abbiamo dati dettagliati sulla qualità e sulla durata della risposta immune al vaccino, né su potenziali differenze lagate alla tipologia di vaccino- quindi non possiamo stimarne precisamente l’efficacia , ma non vi è alcuna preoccupazione in termini di sicurezza. In particolare, i pazienti con MPN sono un gruppo eterogeneo per quanto concerne la loro competenza immunologica, spaziando da casi che possono essere considerati solo minimamente immunocompromessi rispetto a soggetti di pari età e sesso (come coloro i quali sono affetti da policitemia vera o trombocitemia essenziale), fino a casi più fragili, a ragione della malattia e/o delle cure necessarie (come coloro i quali sono affetti da forme di mielofibrosi franca a rischio intermedio-2 o alto e/o trattati con terapia steroidea protratta). Pur tenendo presente queste differenze, globalmente il vaccino è raccomandato in tutti i pazienti con MPN. Vi sono casi specifici, come i pazienti di recente sottoposti a trapianto allogenico, coloro i quali sono arruolati in trial clinici con farmaci ancora non approvati o coloro i quali sono affetti da mastocitosi sistemica nei quali il rischio di reazioni allergiche alla somministrazione del vaccino rimane sconosciuto.

I vaccini al momento approvati da tutti gli enti regolatori preposti sono stati licenziati senza alcuna controindicazione assoluta. Pertanto la loro somministrazione trova raccomandazione anche nei pazienti che sono affetti da NPMC. Tuttavia, per i pazienti in terapia con ruxolitinib, interferone e altri farmaci potenzialmente immunosoppressivi, il consiglio resta quello di condividere la scelta della vaccinazione con lo specialista ematologo presso il quale si è in cura; quest’ultimo infatti avrà il compito di individuare criticità potenziali tra la terapia in corso e la vaccinazione.

Dopo la vaccinazione sarà comunque necessario continuare a seguire le regole sociali applicate alla circostanza della pandemia: distanziamento, uso della mascherina, disinfezione frequente delle mani.

SCENARIO 26. Sono un soggetto con Mielofibrosi Primaria o con Policitemia Vera, ed ero in procinto di iniziare terapia con ruxolitinib. Che cosa è raccomandabile in questo frangente?

Se lei è affetto da mielofibrosi primaria, ha una splenomegalia sintomatica o sintomi sistemici invalidanti, l’inizio della terapia può non essere rimandato, se non vi sono fattori di rischio per contrarre il COVID-19 specifici. Se lei ha una policitemia vera che ha mostrato scarsa risposta, o tossicità, a idrossiurea, potrebbe iniziare il trattamento o anche, se non ritenuto urgente, decidere d’accordo con il proprio ematologo di ritardalo, sempre in un’accurata valutazione dei benefici attesi e del rischio potenziale. Peraltro, non esistono dati che indichino come la terapia con ruxolitinib aumenti il rischio di contrarre l’infezione da Sars-CoV-2.

SCENARIO 27. Sono un soggetto con NMP ed ero in procinto di iniziare una terapia citoriduttiva (incluso Interferone). Che cosa è raccomandabile in questo frangente?

Nel caso in cui sia risultato positivo al tampone, anche in assenza di sintomi, è indicato attendere l’evoluzione clinica della sua malattia Covid-19 e la negativizzazione del tampone, prima di iniziare la terapia citoriduttiva, a meno che non abbia un’urgenza di cura. In tal caso, idrossiurea a basse dosi può essere utilizzata come farmaco di prima scelta, piuttosto che l’interferone; nessuna limitazione se dovesse avere necessità di trasfusioni, se anemico o piastrinopenico. Se invece è tampone-negativo e non ha sintomo alcuno che possa essere correlato al Covid-19, può iniziare la terapia citoriduttiva prescritta (compreso interferone), con l’accortezza a prestare la massima attenzione per evitare di ammalarsi di Covid-19.

SCENARIO 28. Sono un soggetto con mielofibrosi ed avevo in programma la splenectomia Che cosa è raccomandabile in questo frangente?

Si raccomanda che la gestione e la presa in carico del paziente con mielofibrosi in cui sia stata indicata una splenectomia durante la pandemia avvenga come di norma, soprattutto nei pazienti con sintomi da compressione addominali non responsivi alla terapia e nei pazienti che hanno in programmazione un trapianto di cellule staminali. In quest’ultimo caso la mancata esecuzione della splenectomia potrebbe ritardare o precludere la possibilità di effettuare il trapianto. È inoltre raccomandato seguire il piano di profilassi vaccinale pre-splenectomia, in quanto non vi sono dati che indichino un aumentato rischio di infezione o di presentare maggiori complicanze da Sars-CoV-2.

SCENARIO 29. Sono una donna con NMP e sono in gravidanza. Quali raccomandazioni specifiche posso attendermi ai tempi del COVID-19?

Non ci sono raccomandazioni specifiche se non quelle dovute alla malattia ematologica di base che hanno lo scopo di ridurre le complicanze e portare a compimento la gravidanza nella maniera più fisiologica possibile. Le raccomandazioni sono quelle di esporsi il meno possibile al rischio di contagio eseguendo solo le visite necessarie e utilizzando i presidi di barriera e di distanziamento.

SCENARIO 30. Sono un soggetto con mielofibrosi e ho fatto un trapianto di midollo: quali raccomandazioni in tempi di COVID; dopo quanti mesi posso considerarmi fuori pericolo? Dipende dalla mia età?

Nei primi 6 mesi sarà bene osservare massima precauzione per evitare contatti a rischio, ambienti affollati, cene con amici. Le raccomandazioni anti-COVID in essere valgono per tutti, ma a maggior ragione per chi ha ricevuto un trapianto di cellule staminali: mascherina, igiene delle mani, distanziamento sociale. Questo stato di immunodeficienza – che si sviluppa dopo trapianto di midollo – dura di regola 6 mesi, in assenza di malattia trapianto contro ospite (GvHD). Solitamente a 6 mesi viene sospesa la ciclosporina e quindi il paziente si avvia ad essere considerato – dal punto di vista del rischio infettivo – come un soggetto di pari età. In caso di GvHD cronica invece, spesso accompagnata da terapia immunosoppressiva (ciclosporina), il rischio infettivo resta elevato, e quindi il paziente deve mantenere un livello di protezione altrettanto elevato.

 

Nota bene: quanto sopra suggerito non ha alcun valore di indicazione medico-terapeutica, che è rimandata al singolo specialista ematologo, che deve costituire l’unico punto di riferimento prima di decidere ogni eventuale modifica al percorso diagnostico e terapeutico dei soggetti con neoplasia mieloproliferativa cronica.