Un’analisi multicentrica su 344 pazienti affetti da mieloma multiplo e lungo sopravviventi evidenzia come tre fattori – età, livello di albumina alla diagnosi e numero di linee terapeutiche – sono in grado di influenzare la prognosi.
Negli ultimi anni il trattamento del mieloma multiplo ha conosciuto una notevole evoluzione. Grazie soprattutto alla chemioterapia ad alte dosi seguita dalla reinfusione di cellule staminali autologhe e all’introduzione di farmaci di nuova generazione (immunomodulanti, anticorpi monoclonali, inibitori del proteasoma) l’aspettativa di vita è passata da 2 a 7 anni in media. Ma in alcuni casi, può essere molto più lunga.
Un recente studio pubblicato su Cancers, condotto su una delle più ampie casistiche italiane, ha analizzato una coorte di 344 pazienti che hanno ricevuto una diagnosi di mieloma multiplo tra il 1986 e il 2012. Ognuno di questi pazienti è vissuto almeno 10 anni dopo la diagnosi. Francesca Fazio, medico ematologo presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico Umberto I, Ematologia – Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione dell’Università degli Studi di Roma “Sapienza” e prima autrice della ricerca, spiega:
“Abbiamo selezionato i pazienti con sopravvivenza di oltre 10 anni, un gruppo che rappresenta l’eccezione rispetto alla mediana di 6–8 anni osservata nei pazienti candidati al trapianto. Il nostro obiettivo era indagare se le caratteristiche cliniche e biologiche potevano influenzare la prognosi in questo sottogruppo”.
Dall’analisi dei parametri, sono stati individuati tre fattori chiave negativamente associati alla sopravvivenza a lungo termine: l’età elevata, il basso livello di albumina alla diagnosi e il numero di linee terapeutiche necessarie nel corso della malattia.
“Un paziente più giovane ha maggiori probabilità di essere candidato al trapianto autologo, che rimane lo standard terapeutico per i nuovi casi”, precisa la ricercatrice. L’accesso al trapianto, infatti, è un elemento cruciale per la sopravvivenza e direttamente correlato all’età poiché “i pazienti più anziani, solitamente con età superiore ai 70 anni, non sono più eleggibili, anche per comorbidità a questa procedura”.
Il livello di albumina alla diagnosi è invece un parametro direttamente legato alle caratteristiche della malattia: “Sappiamo che è un indicatore indiretto del carico di malattia. In presenza di un elevato numero di cellule maligne, infatti, si osserva una diminuzione della produzione di albumina”, ha affermato la ricercatrice. La carenza di albumina alla diagnosi è associata a una malattia più aggressiva e a una prognosi meno favorevole, e questo vale anche per i lungo sopravviventi.
Un ulteriore elemento prognostico è rappresentato dal numero di linee terapeutiche somministrate. “Il ricorso a tre o più linee di terapia indica, in genere, una malattia più aggressiva”, spiega la ricercatrice. “Il fatto che un paziente necessiti di trattamenti ripetuti, ci suggerisce che la malattia stessa sia intrinsecamente più aggressiva e resistente”.
“Un paziente che ha bisogno di meno terapie, ha verosimilmente una malattia più indolente e meglio controllata dal punto di vista terapeutico”, sottolinea la ricercatrice, evidenziando come questo parametro rappresenti un indicatore importante per il controllo della malattia nel lungo termine.
Lo studio è stato possibile grazie al coordinamento tra i membri del Distretto Mieloma Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo, che ha permesso di raccogliere i dati utilizzati in questa ricerca da 14 centri del Centro-Italia. “Noi lavoriamo in modo coordinato: una volta disegnato il progetto, ogni centro del distretto – che ora si è esteso anche alle regioni del centro Italia, come Abruzzo, Marche e Umbria – invia i dati tramite sistemi standardizzati”.
Non esiste ancora una cura per il mieloma multiplo, ma oggi i pazienti che sopravvivono a lungo sono aumentati.
“In questa casistica – spiega la dottoressa – ci sono moltissimi pazienti che hanno una storia molto datata, che noi abbiamo trattato 15 anni fa con una sola linea di terapia e che poi non hanno avuto più necessità di altre terapie, se non continuare a fare controlli. Ma non possiamo definirli guariti perché le nuove terapie tendono a cronicizzare la malattia, e dopo una lunga fase libera da trattamenti c’è sempre la possibilità che si richieda nuovamente una terapia”.
Eppure, ancora pochi studi hanno approfondito questi casi. Alla luce dei risultati di questo studio retrospettivo, secondo i ricercatori è importante progettare nuovi studi prospettici che identifichino le caratteristiche cliniche, biologiche e molecolari di questi pazienti. I risultati potranno essere utilizzati per guidare una migliore stratificazione dei pazienti con mieloma multiplo appena diagnosticato, ma anche per scegliere le terapie più indicate caso per caso.