Ruxolitinib migliora la risposta globale dei pazienti con malattia del trapianto contro l’ospite (Graft versus Host Disease, GVHD) cronica refrattaria o dipendente dai glucocorticoidi. Il farmaco ha mostrato un miglioramento rispetto alle altre terapie attualmente in uso come trattamento di seconda linea. È quanto emerge dai risultati dello studio REACH3, recentemente pubblicati su The New England Journal of Medicine.
La malattia cronica del trapianto contro l’ospite è una grave complicanza del trapianto di cellule staminali allogeniche (quelle provenienti da donatori compatibili) che si verifica in circa il 30-70% dei pazienti e che ne può determinare anche la morte.
Il trattamento standard di prima linea della GVHD cronica prevede l’assunzione di glucocorticoidi, dei farmaci ad azione antinfiammatoria. Tuttavia, circa nel 50% dei pazienti la malattia diventa refrattaria, non reagisce più al trattamento medico.
Per questi pazienti attualmente manca ancora una terapia standard di seconda linea, che segua quella di prima scelta quando non è più efficace.
“Finora la terapia di seconda linea per i pazienti con malattia del trapianto contro l’ospite cronica e refrattaria ai glucocorticoidi è stata molto eterogena, variabile a seconda dei Centri Trapianto. Gli studi disponibili non facevano emergere chiare preferenze di trattamento. Il nostro è il primo studio di fase 3 che dimostra che una terapia è più efficace rispetto alle altre, dopo il fallimento della prima linea di trattamento. Questo ci fa supporre che ruxolitinib possa essere eletto come nuova terapia standard di seconda linea”, afferma Nicola Polverelli, dirigente medico dell’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale degli Spedali Civili di Brescia, che ha preso parte allo studio.
Lo studio REACH3, randomizzato, di fase 3, ha valutato la sicurezza e l’efficacia del trattamento con ruxolitinib nei pazienti con malattia refrattaria ai glucocorticoidi. I risultati ottenuti sono stati confrontati con quelli del gruppo di controllo, in cui allo sperimentatore era lasciata la libertà di scelta del trattamento, considerando un elenco di 10 opzioni terapeutiche comunemente utilizzate.
Ruxolitinib è un farmaco inibitore delle tirosin-chinasi che agisce bloccando la via di segnalazione cellulare (JAK-STAT) coinvolta nel processo di infiammazione e distruzione dei tessuti, alla base della malattia. La sua efficacia era già stata provata in altri studi preclinici e clinici, ma di fase meno avanzata del REACH3.
Complessivamente, nello studio sono stati arruolati 329 pazienti: 165 sono stati trattati con ruxolitinib e 164 con un’altra opzione terapeutica a scelta dello sperimentatore. Come misura dell’efficacia è stata valutata la risposta globale di questi pazienti dopo 24 settimane di trattamento.
“Il nostro studio ha mostrato che nei pazienti con GVHD cronica e refrattaria ai glucocorticoidi, ruxolitinib è in grado di raddoppiare le risposte al trattamento rispetto alla altre terapie disponibili”, commenta Polverelli.
“Peraltro, la migliore efficacia si è avuta a fronte di effetti collaterali attesi e ben gestibili”. I pazienti trattati con ruxolitinib hanno mostrato una maggiore incidenza di trombocitopenia e anemia.
“Inoltre, il trattamento con ruxolitinib ha mostrato anche un miglioramento della qualità di vita, con una riduzione dei sintomi legati alla malattia. Anche questo è un aspetto molto importante da tenere in considerazione, in quanto il benessere quotidiano di questi pazienti è estremamente condizionato dalla malattia”, conclude il ricercatore.