I farmaci inibitori delle tirosin-chinasi (TKI, Tyrosine Kinase Inhibitors) hanno trasformato la cura della Leucemia Mieloide Cronica (CML). L’aspettativa di vita per i pazienti affetti da questa malattia è ora simile a quella della popolazione generale. Purtroppo però, un’importante minoranza di questi pazienti nella fase cronica della malattia (CP-CML) sviluppa una resistenza ai farmaci TKI di seconda generazione, che non hanno quindi più effetto.

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Ad oggi non esiste una linea guida specifica per i casi di resistenza. Ma uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Leukemia lo scorso maggio prova a fornire una guida pratica su come gestire i pazienti che non hanno avuto risultati dal trattamento con TKI di seconda generazione. Gli autori dell’articolo hanno raccolto nuovi dati e risultati di diverse ricerche con l’obiettivo di definire un percorso clinico alternativo.

Attualmente i farmaci approvati per il trattamento della leucemia mieloide cronica in fase cronica sono cinque: imatinib, farmaco TKI di prima generazione; nilotinib, dasatinib, e bosutinib che sono farmaci TKI di seconda generazione; e ponatinib, una TKI di terza generazione.

Questi farmaci si legano alle proteine tirosin-chinasi e inibiscono proprio quei meccanismi che fanno proliferare le cellule. Una eccessiva attività delle proteine tirosin-chinasi induce le cellule a crescere fuori controllo e porta allo sviluppo del tumore. Queste proteine però possono presentare mutazioni che le rendono resistenti ai farmaci inibitori delle tirosin-chinasi.

Secondo gli autori dello studio, in caso di resistenza a un farmaco TKI di seconda generazione, si devono:

  • eseguire test di analisi delle mutazioni avvenute a livello molecolare
  • valutare le altre malattie presenti contemporaneamente nel malato (comorbidità)
  • avviare subito la ricerca di un donatore compatibile per un trapianto di midollo osseo

Il trattamento successivo dovrebbe quindi essere personalizzato, sulla base del profilo di mutazione e delle comorbidità.

Profilo molecolare e terza generazione di TKI

Le mutazioni molecolari si possono rilevare tramite il test di sequenziamento convenzionale Sanger o quello di nuova generazione (NGS), più sensibile. I risultati possono guidare verso la scelta di altri farmaci TKI di seconda generazione ed evitare l’uso quelli non adatti.

Il trattamento con un TKI di terza generazione (ponatinib) deve essere preso in considerazione per tutti i pazienti che si trovano nelle condizioni di riceverlo. I fattori da tenere presente sono i rischi cardiovascolari (alti con il ponatinib), le malattie metaboliche e i farmaci assunti in contemporanea. Secondo gli esperti i potenziali benefici del trattamento con ponatinib devono essere valutati rispetto ai potenziali rischi. Per un paziente che ha bisogno di ponatinib ma che ha anche problemi cardiovascolari può essere opportuno iniziare con una dose più bassa (nel caso in cui non sia idoneo al trapianto); mentre per i pazienti senza rischi cardiovascolari ma con una leucemia mieloide cronica aggressiva dovrebbe essere considerata la dose iniziale di 45 mg. Il dosaggio deve essere deciso in base alle comorbidità del paziente e alle mutazioni sviluppate. Per eventuali successive modifiche alle dosi, gli autori consigliano di tenere conto dei risultati ottenuti e della tollerabilità del farmaco dimostrata dal paziente.

Il ponatinib è particolarmente indicato anche nel caso di una mutazione tipica, come quella denominata BCR-ABL1 T315I.

Leucemia Mieloide Cronica e inibitori della tirosin-chinasi: cosa fare in caso di resistenza – Fondazione GIMEMA

Prepararsi al trapianto

La ricerca di un donatore dovrebbe iniziare non appena la terapia con TKI di seconda generazione si dimostra inefficace. Trovare un donatore non familiare compatibile può richiedere in media 3-4 mesi, durante i quali la malattia può progredire e i pazienti possono non essere più nelle condizioni di sopportare un trapianto. In questa situazione deve essere valutato l’uso di un donatore aploidentico (ovvero parzialmente compatibile). Gli esperti sconsigliano di ritardare il trapianto provando prima tutte le TKI disponibili. Questa scelta potrebbe essere inappropriata soprattutto per quei pazienti con parametri già gravi che non beneficerebbero comunque di nuove terapie. La strategia terapeutica non deve far correre il rischio di un peggioramento della malattia che possa compromettere il trapianto.

Le alternative al ponatinib

Non sono possibili raccomandazioni precise per pazienti a cui non può essere somministrato il ponatinib. Gli esperti consigliano una terapia con un altro farmaco TKI di seconda generazione (tenendo presente tutte le raccomandazioni fatte in precedenza), oppure la possibilità di far partecipare il paziente a nuovi studi clinici che sperimentano nuove terapie. Asciminib, un nuovo inibitore delle tirosin-chinasi, ha mostrato risultati promettenti e potrebbe essere la prossima opzione disponibile per questi pazienti.

 

Immagine di copertina di Polina Tankilevitch da Pexels

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