Uno studio recentemente pubblicato su The Lancet Oncology ha indagato una questione cruciale che riguarda l’ottimizzazione della terapia per il linfoma di Hodgkin del bambino e dell’adolescente. Secondo il gruppo europeo di ricerca internazionale per questa patologia, si potrebbe omettere la radioterapia nei pazienti pediatrici con malattia a stadio localizzato che hanno risposto adeguatamente ai primi due cicli di chemioterapia con lo schema OEPA (prednisone, vincristina, doxorubicina, etoposide).
Il linfoma di Hodgkin è un tumore ematologico che colpisce principalmente il sistema linfatico e può manifestarsi in tutte le età, con un consistente picco di incidenza nei pazienti adolescenti e giovani adulti.
Come ci ha spiegato Maurizio Mascarin, responsabile della Struttura Area Giovani e Radioterapia Pediatrica presso il CRO di Aviano, fino a oggi la radioterapia è stata parte essenziale nel trattamento di questa malattia. La sua efficacia è innegabile ma gli effetti collaterali a lungo termine, quali, l’aumentato rischio di sviluppare patologie cardiovascolari e seconde neoplasie, negli ultimi decenni hanno sollevato preoccupazioni tra gli specialisti. Questi effetti collaterali non sono tanto legati alla dose erogata, ma soprattutto ai volumi impiegati, vale a dire all’estensione delle zone sottoposta a radioterapia. Per questo motivo tutti i recenti trials hanno cercato di limitare il più possibile i volumi estesi di radioterapia utilizzati in passato, applicando volumi sempre più limitati al residuo di malattia presente al termine della chemioterapia o alle sedi a rischio di recidiva per lenta risposta ai trattamenti chemioterapici.
La personalizzazione della terapia sulla base delle caratteristiche del paziente e della malattia per evitare trattamenti inadeguati e limitare gli effetti collaterali è una delle sfide più importanti dell’ematologia moderna. Lo studio EuroNet-PHL-C1 (European Network for Paediatric Hodgkin Lymphoma — C1) è stato disegnato con lo scopo di identificare le condizioni in cui la radioterapia può essere omessa in sicurezza mantenendo la sopravvivenza libera da eventi (EFS — Event Free Survival) a 5 anni pari al 90%.
Lo studio è stato condotto su un ampio campione di pazienti di età inferiore ai 18 anni, affetti da linfoma di Hodgkin, trattati in 186 centri specialistici di 16 paesi europei.
“Per i pazienti con malattia allo stadio precoce (stadio IA, IB e IIA, senza fattori di rischio come la malattia bulky o la VES elevata), il protocollo di trattamento utilizzato in questo studio prevedeva due cicli di chemioterapia con lo schema OEPA, ovvero con la somministrazione dei seguenti farmaci: prednisone, vincristina, doxorubicina, etoposide. Tutti i bambini, al termine dei due cicli di chemioterapia, sono stati sottoposti a esami di PET-FDG, le cui immagini sono state valutate in centri specialistici di riferimento. La radioterapia è stata aggiunta solo nei casi in cui la risposta al trattamento non era completa e quindi ritenuti a rischio di ripresa di malattia”, spiega Mascarin.
I pazienti che hanno ricevuto solo chemioterapia, dopo i primi due cicli con lo schema OEPA, hanno avuto una sopravvivenza simile a quella dei pazienti che dopo chemioterapia hanno ricevuto la radioterapia.
L’analisi dei dati ha però mostrato che la mancata radioterapia poteva aumentare del 5% la frequenza di recidive della malattia. Per questo motivo, nello studio successivo EuroNet-PHL-C2, eseguito dagli stessi ricercatori ed esteso anche al nostro paese, è stato previsto un ulteriore ciclo di chemioterapia (COPDAC: ciclofosfamide, prednisone, vincristina e dacarbazina) nei pazienti per i quali non era previsto l’impiego della radioterapia.
“All’inizio della storia del linfoma di Hodgkin, la terapia veniva stabilita sulla base della diffusione iniziale della malattia, considerando numero e tipo di sedi coinvolte. Chi, per esempio, aveva una malattia in stadio avanzato, veniva trattato con un protocollo più aggressivo rispetto ai pazienti con patologia a stadio più limitato. Oggi, l’intensità e la durata del trattamento vengono modulate sulla base della risposta precoce alla terapia per evitare al paziente terapie intensive se non strettamente necessarie con conseguenti effetti collaterali a breve e lungo termine.