Uno studio retrospettivo di sedici anni ha raccolto i dati sul trattamento del linfoma di Hodgkin pediatrico presso il Children’s Welfare Teaching Hospital di Baghdad. Nonostante le limitazioni del contesto iracheno, i risultati mostrano un’elevata sopravvivenza a lungo termine. Lo studio, nato da una collaborazione tra medici italiani e iracheni, ha gettato le basi per protocolli terapeutici, attualmente in fase pilota, su misura per il contesto locale.

“L’aspetto di maggior valore di questo lavoro è nel modo in cui la profonda dedizione dei medici è riuscita a portare ottimi risultati nonostante una realtà socio-economica che ha visto prima l’embargo, poi la guerra, e tutt’oggi si confronta con diffuse condizioni di disagio e povertà. Riuscendo comunque a portare avanti un percorso di raccolta dati e valutazione che permette di stabilire protocolli che possano migliorare i trattamenti tenendo in considerazione i bisogni e le disponibilità del contesto locale”. Maria Luisa Moleti, ematologa presso il Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione della Sapienza Università di Roma, riassume così il fulcro dello studio retrospettivo da poco pubblicato sul Mediterranean Journal of Hematology and Infectious Diseases.

Firmato da un gruppo di medici iracheni e italiani, l’articolo presenta i dati raccolti nel corso di sedici anni sul trattamento del linfoma di Hodgkin in bambini e bambine al Children’s Welfare Teaching Hospital (CWTH) di Baghdad. È il risultato di una collaborazione nata quasi vent’anni fa e che ha permesso la revisione dei campioni istologici e la messa a punto di un registro clinico, ponendo le basi delle linee guida del trattamento dei pazienti pediatrici con linfoma di Hodgkin in Iraq, ora in fase pilota.

 

Telemedicina tra Italia e Iraq

Il linfoma di Hodgkin in età pediatrica è tra le patologie più curabili, con oltre il 90% di sopravvivenza a lungo termine – almeno nei paesi ad alto reddito.

Molti paesi a basso e medio reddito, invece, devono confrontarsi con problemi di approvvigionamento dei farmaci, mancanza di terapie e strutture idonee, scarsa aderenza alla terapia a causa di difficoltà economiche e sociali dei pazienti, tutti elementi che rendono più arduo il trattamento.

“Nel 2003, Anna Maria Testi, coordinatrice scientifica di GIMEMA informazione e prima autrice dello studio, nel corso di una missione con Intersos in Iraq ha conosciuto i due medici responsabili dell’Unità di Onco-ematologia pediatrica del CWTH di Baghdad: è stata l’origine di un rapporto di collaborazione scientifica, ma anche di amicizia, basato su incontri regolari con i colleghi iracheni. Internet non era ad alta velocità come oggi, per cui i nostri incontri all’epoca si basavano sui collegamenti satellitari”, racconta Moleti.

Gli incontri di telemedicina comprendevano lezioni sulle patologie onco-ematologiche e le terapie, consulti per i pazienti iracheni, revisioni di campioni e di eventuali immagini diagnostiche disponibili. Sono stati la base per quella che è diventata una vasta raccolta dei dati dei pazienti, sulla quale si struttura lo studio retrospettivo recentemente pubblicato: i medici iracheni e italiani stabilivano insieme le possibili terapie in base a quanto il CWTH aveva a disposizione.

 

Sedici anni di dati sul trattamento del linfoma di Hodgkin

Il nuovo articolo descrive i risultati ottenuti negli anni, raccogliendo i dati di quasi 300 pazienti fino ai 14 anni di età, la maggior parte dei quali (65%) ha ricevuto la terapia ABVD, il protocollo più usato per la chemioterapia del linfoma di Hodgkin e basato sulla somministrazione dei farmaci adriamicina, bleomicina, vinblastina e dacarbazina. I risultati dell’analisi mostrano una risposta completa del 98% dei casi e una sopravvivenza a lungo termine per il 90% circa dei pazienti, nonostante – evidenziano autori e autrici dello studio – le significative limitazioni sia diagnostiche sia terapeutiche.

Per esempio, spesso non era possibile accedere alla TAC; la PET era del tutto assente; non vi era disponibilità di radioterapia e il trattamento doveva basarsi esclusivamente sulla chemioterapia, aumentandone i cicli.

Anche per quest’ultima, non sempre erano disponibili i farmaci impiegati normalmente nei paesi ad alto reddito, in particolare la dacarbazina, per cui era necessario optare per protocolli differenti dall’ABVD (in particolare il protocollo COPP/ABV, una variante basata su farmaci differenti e che comporta maggiori effetti collaterali).

 

Verso la modulazione del trattamento

Risultati buoni, in termini di sopravvivenza. Ma, scrivono autori e autrici in conclusione al loro lavoro, “C’è chiaramente la necessità di adattare l’intensità del trattamento allo stadio iniziale della malattia e alla risposta precoce al trattamento, al fine di migliorare ulteriormente i risultati a lungo termine ed evitare effetti collaterali acuti e tardivi legati alla terapia”.

È il problema della modulazione del trattamento in base alla fascia di rischio del paziente. “Se, nei nostri paesi occidentali, la terapia del linfoma di Hodgkin è modulata per evitare il sovra-trattamento e gli effetti negativi che ne possono conseguire, in Iraq questo finora non è stato possibile. Da una parte, i limitati strumenti diagnostici rendevano più difficile una stadiazione corretta, dall’altra non era disponibile la radioterapia ed era necessario aumentare i cicli di chemioterapia”, spiega Moleti.

“Ora per i piccoli pazienti del CWTH è possibile effettuare la PET e la radioterapia pediatrica. Questi strumenti si uniscono alle conoscenze acquisite dallo studio retrospettivo per migliorare il trattamento dei linfomi di Hodgkin in età pediatrica al CWTH: nelle linee guida attualmente in fase pilota, sulle quali si baserà il protocollo definitivo, è previsto di calibrare il trattamento valutando la stadiazione iniziale dividendo i pazienti in fasce di rischio anche in base alla risposta precoce alla terapia, così da modulare il numero e l’intensità dei cicli, aggiungendo la radioterapia quando necessario. In questo modo, avendo ben chiare le disponibilità e le limitazioni del paese, la terapia del linfoma di Hodgkin in Iraq può avvicinarsi a quella dei paesi ad alto reddito, migliorandone così l’efficacia ed evitando i sovra-trattamenti”.

 

L’articolo originale si può leggere al seguente link: http://dx.doi.org/10.4084/MJHID.2024.053