I risultati di uno studio GIMEMA mostrano che somministrare un inibitore della tirosin-chinasi di seconda generazione potrebbe far raggiungere in maniera più efficace uno degli obiettivi principali della cura della leucemia mieloide cronica.
Un nuovo studio prospettico GIMEMA, condotto da Fabrizio Pane, professore ordinario di Ematologia dell’Università di Napoli Federico II, ha mostrato che somministrare in prima linea il nilotinib, un farmaco inibitore della tirosin-chinasi di seconda generazione, potrebbe essere più efficace nell’indurre una remissione molecolare profonda nei pazienti con leucemia mieloide cronica. Il lavoro è stato presentato durante il congresso dell’Associazione Europea di Ematologia (EHA), tenutosi a Vienna e in forma ibrida dal 9 al 17 giugno scorso.
A oggi uno degli obiettivi più importanti della cura della leucemia mieloide cronica è il raggiungimento di una condizione chiamata remissione senza trattamento, che si verifica quando il paziente che ha interrotto la terapia mantiene la riduzione del tumore senza bisogno di riprendere il trattamento. “Eppure la migliore strategia per raggiungere questo obiettivo è ancora poco definita”, commenta Pane.
In realtà, alcuni studi preliminari hanno fornito prove che la terapia con gli inibitori della tirosin-chinasi può far raggiungere la remissione senza trattamento se è stata raggiunta una remissione molecolare profonda di durata sufficientemente lunga.
Per stabilire se il paziente si trova in questa condizione si fa riferimento alla risposta molecolare che quantifica la presenza di BCR-ABL, un biomarcatore tipico della leucemia mieloide cronica, e indica la malattia residua (MR) a livello molecolare. A sua volta la malattia residua viene misurata con una scala logaritmica, in cui MR4 e MR4.5 MR0 corrispondono a quantità di BCR-ABL basse. Nella remissione molecolare profonda c’è ancora la presenza di malattia leucemica, ma a un livello molto basso: per MR4 i tassi di BCR-ABL sono inferiori allo 0,01%, per MR4.5 inferiori allo 0,0032%.
Lo studio condotto dal team di ricercatori GIMEMA è il primo e, finora unico, studio prospettico – uno studio clinico in cui si osservano i risultati di uno o più gruppi di pazienti per un determinato periodo di tempo – che valuta in 457 pazienti con leucemia mieloide cronica, non solo il tasso di remissione molecolare profonda, ma anche il tasso di remissione senza trattamento in base alla terapia.
In particolare, i partecipanti allo studio sono stati randomizzati in due bracci diversi: uno in cui hanno ricevuto un trattamento con nilotinib e uno in cui hanno ricevuto un trattamento con imatinib (inibitore della tirosin-chinasi di prima generazione), seguito dal passaggio al nilotinib in caso di risposta non ottimale. Tutti i pazienti che, entro i primi tre anni di trattamento, ottengono una riduzione di malattia molecolare superiore a MR4 e la mantengono fino alla fine del quarto anno di terapia possono accedere alla fase dello studio in cui viene valutata l’interruzione del trattamento. Lo studio ha due obiettivi primari: il tasso di remissione molecolare a 24 mesi del trattamento e il tasso di pazienti che rimangono in remissione libera da trattamento prolungata senza recidiva molecolare 12 mesi dopo l’ingresso nella fase di interruzione del trattamento.
Questa fase dello studio ha dimostrato che la terapia con nilotinib è più efficace nell’indurre la remissione molecolare profonda rispetto a quella con l’imatinib.
Poiché questi dati potrebbero essere correlati a una remissione molecolare sostenuta nel tempo, la terapia con nilotinib potrebbe diventare il trattamento di scelta in quei pazienti che desiderano raggiungere la remissione senza trattamento. Se i tassi più elevati di remissione molecolare profonda poi si tradurranno in remissione senza trattamento, tuttavia, sarà oggetto di analisi durante la successiva fase di follow-up della sperimentazione.
“Al momento – sottolinea Pane – non è chiaro se la remissione senza trattamento corrisponda all’eradicazione delle cellule leucemiche oppure a un equilibrio funzionale tra la loro crescita e i meccanismi di controllo del paziente. Inoltre per ora non disponiamo di alcun marker affidabile per predire la remissione senza trattamento. È importante sottolineare che sono in corso una serie di studi a corredo di questo lavoro per cercare di definire i fattori clinici e molecolari da utilizzare per prevedere, in un paziente, la possibilità di raggiungere la remissione senza trattamento e e permettere ai medici e di selezionare la terapia migliore”.