E’ sicuro diminuire il dosaggio degli inibitori delle tirosin chinasi nella Leucemia Mieloide Cronica? Questa è la domanda alla base del lavoro di un gruppo di ricercatori inglesi che hanno pubblicato i risultati dello studio sulla rivista The Lancet Hematology.
L’avvento degli inibitori delle tirosin chinasi (TKI) ha completamente rivoluzionato il trattamento della Leucemia Mieloide Cronica (LMC) consentendo ai pazienti di condurre una vita quasi normale a fronte di un trattamento farmacologico continuo. Purtroppo, a causa di questa lunga terapia, anche farmaci solitamente ben tollerati come le TKI possono causare effetti collaterali indesiderati. E’ anche per questo che un fronte della ricerca negli ultimi anni si concentra sulla possibilità di sospendere il trattamento, valutando quanto questa sospensione possa essere protratta senza che la malattia riprenda il sopravvento.
Il lavoro di cui stiamo parlando è invece un po’ differente e inedito. Da una parte perché si parla di riduzione del dosaggio e dall’altra perché si amplia la soglia della risposta molecolare dei pazienti. La risposta molecolare (MR – Molecular Response) in questo contesto è un concetto chiave. Una volta acquisita una risposta clinica, la malattia viene seguita a livello molecolare con metodi che valutano la presenza dei prodotti genici mutati. A seconda del rapporto di questi con il corrispettivo normale si assegna un valore soglia nominato come MR1, 2,3, 4 e così via. Maggiore è il numero, minore è la presenza di mutazioni (profondità della risposta). Quindi il razionale dietro a queste ricerche sta nell’assunto che il paziente con una risposta molecolare profonda ha, di fatto, una malattia pesantemente colpita che, seppure non eliminata, è presumibilmente controllabile.
Quanto controllabile? E’ appunto oggetto delle ricerche del gruppo guidato da Richard Clark, medico dell’Institute of Translational Medicine di Liverpool. Allo studio clinico hanno partecipato 174 pazienti, tutti già da tempo in cura con TKI (7 anni in media) e con una risposta molecolare stabile. La dose standard di farmaco è stata dimezzata per un periodo di 12 mesi ed i risultati sono stati molto incoraggianti: nessuna recidiva clinica di malattia, solo il 2% di perdita della risposta molecolare (recuperata al ripristino del pieno dosaggio) e una diminuzione degli effetti collaterali.
Nel complesso, quindi, questi primi risultati suggeriscono che la diminuzione del dosaggio sia una pratica attuabile nei pazienti che hanno già ottenuto una risposta molecolare. Inoltre questa strategia terapeutica comporta anche un importante vantaggio sui costi, praticamente dimezzati.
Per i pazienti che non possono interrompere la terapia, poter modificare le dosi del trattamento senza effetti clinici negativi ha importanti implicazioni – commenta Elisabetta Abruzzese, medico ematologo all’Ospedale S. Eugenio di Roma e autrice di un editoriale su questa ricerca – La combinazione di un dosaggio ridotto con altri approcci terapeutici potrebbe rappresentare il futuro per questa malattia.
Sono comunque necessari ulteriori e più ampi studi per confermare definitivamente la validità e sicurezza di questa strategia.
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