Alcune interazioni del farmaco con il cibo o con i preparati erboristici potrebbero non solo ridurre l’efficacia del trattamento, ma anche aumentarne la tossicità
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Negli ultimi 20 anni i farmaci inibitori delle tirosin-chinasi (TKI, Tyrosine Kinase Inhibitors) sono stati utilizzati con successo per il trattamento di numerosi tumori solidi ed ematologici. L’efficacia del farmaco, assunto per via orale, può variare a causa della sua interazione con il cibo. In uno studio di revisione, recentemente pubblicato su The Lancet, un gruppo di ricercatori ha raccolto e discusso criticamente le raccomandazioni della Food and Drug Administration (FDA) e dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) sulle variazioni di efficacia e di sicurezza dei TKI quando assunti in concomitanza con cibo o preparati erboristici. L’analisi ha riguardato tutti i TKI approvati fino ad ottobre 2019.
I TKI sono piccole molecole che si legano alle proteine tirosin-chinasi inibendone, per l’appunto, i meccanismi di trasferimento del segnale. In tal modo, si arresta la progressione tumorale e induce la morte programmata della cellula (apoptosi). L’introduzione di questa classe di farmaci ha permesso di avere un trattamento mirato contro specifici bersagli molecolari, con meno effetti collaterali rispetto ai trattamenti chemioterapici classici.
Assumere il farmaco per bocca permette ai pazienti di rispettare meglio la terapia, ma pone altri problemi.
I pasti, soprattutto se molto elaborati, e anche alcune erbe possono influenzare la farmacocinetica del farmaco, in particolare l’assorbimento e la metabolizzazione, e modificarne l’efficacia terapeutica e la tossicità.
L’assorbimento del farmaco
Per valutare come i TKI interagiscono con il cibo, dopo la somministrazione di una dose si misura la concentrazione del farmaco nel plasma del sangue. Quando la concentrazione è al di sotto della soglia indicata per la terapia, potrebbe essere consigliabile assumere il TKI vicino ad un pasto. Gli inibitori delle tirosin-chinasi sono per la maggior parte farmaci lipofili, si sciolgono cioè facilmente negli oli e nei grassi. Un pasto particolarmente ricco di grassi (per esempio una colazione all’inglese, ovvero di 800-1000 kcal, di cui circa la metà derivante da grassi) potrebbe migliorare l’assorbimento e anche l’efficacia dei TKI. Queste interazioni possono anche avere effetti potenzialmente dannosi per il paziente. Per la valutazione della possibile tossicità si considera il tempo necessario a raggiungere la concentrazione plasmatica massima del farmaco. Per la maggior parte degli inibitori delle tirosin-chinasi considerati, l’assunzione di un pasto sostanzioso distribuisce l’assorbimento del farmaco in un tempo più lungo e per questo, probabilmente, ne diminuisce gli effetti collaterali.
Tra i TKI utilizzati per il trattamento dei tumori ematologici, l’lbrutinib si mantiene a una alta concentrazione nel plasma se assunto con un pasto ad alto contenuto di grassi. L’FDA e l’EMA ne consigliano l’assunzione sia con che senza cibo; gli autori, invece, ritengono sia preferibile assumerlo con un pasto, in quanto una maggiore concentrazione dell’Ibrutinib potrebbe aumentare l’efficacia del trattamento. Anche il Bosutinib mostra un migliore assorbimento, e minori effetti collaterali a livello gastrico, se assunto con il cibo. L’Imatinib, invece, sembrerebbe avere un’efficacia non dipendente dai pasti, per cui gli autori suggeriscono di assumerlo con o senza a seconda delle preferenze del paziente.
La metabolizzazione del farmaco
Dopo l’assorbimento, è la metabolizzazione l’altro aspetto più influenzato dall’interazione con il cibo.
I TKI vengono metabolizzati nell’organismo grazie all’azione di particolari enzimi: il citocromo P450 e in particolare dalla sua isoforma enzimatica CYP3A4. Alcune sostanze sono in grado di bloccare o stimolare l’attività di questo enzima. In questo modo anche la quantità di farmaco assorbita e metabolizzata può cambiare. L’erba di San Giovanni (o iperico, comunemente usata come antidepressivo), ad esempio, aumenta la metabolizzazione del farmaco e ne riduce la disponibilità nell’organismo. Al contrario, alimenti come il pompelmo inibiscono l’azione del CYP3A4, riducendo la metabolizzazione e prolungando la disponibilità del farmaco, ma probabilmente aumentando gli effetti collaterali associati. In questi casi, le raccomandazioni dell’FDA, dell’EMA e degli autori sono le stesse: è preferibile evitare l’assunzione di questi alimenti in concomitanza con i TKI
Altre possibili interazioni che modificano la metabolizzazione del farmaco possono riguardare le erbe medicinali orientali. Il ginseng potrebbe essere un induttore del CYP3A4 e ridurre l’efficacia della terapia. Le interazioni con queste erbe sono però ancora poco note e, per il momento, il consiglio è solo quello di riferirne al proprio oncologo l’assunzione.
Gli studi clinici sulle interazioni
Un punto critico che emerge da questa panoramica è che le raccomandazioni raccolte provengono da studi clinici differenti, la maggior parte dei quali considera le interazioni dei farmaci con cibi ad alto contenuto calorico. Ma gli autori precisano che la realtà potrebbe essere diversa: il paziente potrebbe avere difficoltà nel seguire una dieta ricca di grassi o non tollerare l’assunzione di determinati cibi.
Individuare le interazioni che migliorano l’efficacia del trattamento, senza comprometterne la sicurezza, potrebbe portare a una riduzione delle dosi assunte e, di conseguenza, anche ad un risparmio economico.
Per modificare la dose che solitamente viene consigliata sono necessarie però delle solide evidenze. Per provare ad ottenerle, gli autori suggeriscono di condurre più studi di interazione sugli esseri umani, perché i risultati sugli animali potrebbero essere falsati, e di somministrare dosi multiple, anziché una dose singola, per un periodo di tempo più lungo rispetto a quello che attualmente viene osservato.