Un nuovo studio, pubblicato sul British Journal of Haematology, propone diversi parametri clinici per facilitare il riconoscimento della leucocitosi, un effetto collaterale della terapia di differenziamento, nei pazienti con leucemia promielocitica acuta a basso-medio rischio.

Per la prima volta sono stati definiti alcuni parametri che possono predire l’insorgenza della leucocitosi – l’aumento incontrollato ed eccessivo dei globuli bianchi – in pazienti con leucemia promielocitica acuta a basso-medio rischio e trattati con la terapia di differenziamento. I risultati dello studio, pubblicati sul British Journal of Haematology, potrebbero aiutare i medici a gestire in modo tempestivo l’insorgenza della leucocitosi e di altre complicanze. “Nella pratica clinica mi accorgevo che mancavano parametri specifici che aiutassero a individuare i pazienti più predisposti a sviluppare la leucocitosi o a comprendere le conseguenze del fenomeno”, commenta Laura Cicconi dell’Ospedale Santa Maria Goretti e l’Università Polo Pontino di Latina, nel Lazio, prima autrice dello studio.

La terapia di differenziamento per i pazienti con leucemia promielocitica acuta a rischio basso e intermedio comprende l’acido retinoico (All-Trans-Retinoic Acid, ATRA) insieme al triossido di arsenico (ATO) e non prevede l’uso di chemioterapici. La combinazione conduce alla guarigione in circa il 90% dei casi, ma più della metà dei pazienti rischia di incorrere nella leucocitosi e potenzialmente in altri effetti collaterali, quali la sindrome da differenziamento. In particolare, questa sindrome provoca diversi disturbi, come la dispnea e la congestione polmonare, mentre la coagulopatia compromette la capacità del sangue di coagulare e richiede di intervenire con trasfusioni di emazie, plasma e piastrine.

“Circa il 60% dei pazienti con leucemia acuta promielocitica sviluppa una leucocitosi nelle prime due settimane dall’esordio. Non esiste però ancora una precisa spiegazione biologica di questo fenomeno”, riporta Cicconi.

I risultati dello studio propongono così due ipotesi per spiegare tale fenomeno e confermano la stretta correlazione della leucocitosi con la sindrome di differenziamento e la coagulopatia.

Lo studio retrospettivo ha coinvolto 65 pazienti con questa patologia sottoposti alla combinazione ATRA e ATO tra il 2009 e il 2023, presso tre ospedali universitari di Roma e Latina. Sul totale dei casi, i 39 che hanno manifestato la leucocitosi hanno presentato anche problemi cardiaci, danni al fegato e infezioni; in media hanno avuto bisogno di trasfusioni di sangue più intense, rispetto a chi non l’ha manifestata. Inoltre, tutti i 16 pazienti che hanno sviluppato la sindrome di differenziamento avevano manifestato in precedenza la leucocitosi. Nonostante le complicanze cliniche nei pazienti con leucocitosi, nello studio la sopravvivenza generale a 5 anni dalla diagnosi è stata molto alta, al di sopra del 93%, e simile a quella dei casi senza leucocitosi. Raggiungere questi risultati è possibile soltanto intervenendo in tempi rapidi. Come spiega Cicconi:

“Quando il numero di globuli bianchi inizia ad aumentare non si può aspettare. Bisogna iniziare subito il trattamento con l’idrossiurea, un farmaco chemioterapico”.

Confrontando i diversi sintomi con i dati clinici dei pazienti, i ricercatori hanno infine individuato importanti parametri che indicano una predisposizione alla leucocitosi e alla coagulopatia. Ne sono un esempio un’elevata infiltrazione di blasti nel midollo osseo, e un basso numero di piastrine e fibrinogeno. Si tratta di parametri oggettivi e condivisi che potrebbero velocizzare e standardizzare il riconoscimento dei casi di leucemia promielocitica acuta a rischio di sviluppare leucocitosi ed evitare le complicazioni annesse.

 

Lo studio di Cicconi L, et al. è disponibile a questo link: https://doi.org/10.1111/bjh.19759

Il commentary collegato è disponibile qui: https://doi.org/10.1111/bjh.19763