Dallo scorso giugno è attivo il nuovo working party sulle immunoterapie. Abbiamo intervistato il presidente, Paolo Corradini, per capire meglio l’importanza delle immunoterapie nel campo ematologico e non solo.

A partire dal 2004, GIMEMA ha istituito dei gruppi di lavoro indipendenti, i cosiddetti Working Parties, dedicati ognuno a un argomento specifico in campo ematologico. Quest’anno, ai vecchi gruppi di lavoro, si è aggiunto un gruppo nuovo sulle immunoterapie. Il working party è guidato dal Paolo Corradini, direttore della Divisione di Ematologia della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e professore di Ematologia dell’Università degli Studi di Milano.

Che cosa intendiamo per immunoterapie?

“Per immunoterapie intendiamo quei trattamenti che non utilizzano farmaci chemioterapici o radioterapia, ma che sfruttano dei meccanismi immuno-mediati, ovvero che passano attraverso gli anticorpi e i linfociti-T del paziente.

È un po’ come se l’immunoterapia avesse due pilastri: uno basato sugli anticorpi, che possono lavorare da soli oppure reclutare il sistema dei linfociti T; l’altro è quello dei linfociti T modificati in laboratorio per sconfiggere la neoplasia, conosciuti come cellule CAR-T.

Quindi, parliamo di terapie legate a un meccanismo che normalmente già esiste nel nostro organismo, ma che oggi riesce ad essere sfruttato nella cura dei tumori, compresi quelli ematologici”.

Perché sono importanti in ematologia?

“L’immunoterapia, uccidendo la cellula neoplastica con un meccanismo completamente diverso dalla chemio o radioterapia, ci fornisce una nuova arma per ottenere delle risposte cliniche in pazienti con patologia recidivante o refrattaria alle terapie tradizionali. I più grandi successi dell’immunoterapia in campo ematologico sono stati il nivolumab e il pembrolizumab, i cui primi studi risalgono a circa 7-8 anni fa. Nella storia del trattamento del linfoma di Hodgkin sono stati la più importante evoluzione degli ultimi 40 anni, con risposte in circa il 60% dei pazienti refrattari ad altre terapie.

Più recentemente sono stati introdotti nuovi tipi di anticorpi: quelli legati a delle tossine – come il brentuximab che si usa nell’Hodgkin – e quelli bispecifici o BiTE – che vanno a riattivare i linfociti T del paziente che non funzionano più – tra cui il blinatumomab usato nella leucemia linfoblastica acuta, il capostipite di questa tipologia di anticorpi”.

Quali sono le aspettative future?

“Sono aspettative molto promettenti perché, nel campo degli anticorpi, quelli bispecifici attualmente in studio stanno dando risultati straordinari nel mieloma multiplo, nella leucemia linfoblastica acuta, nel linfoma. Stessa cosa nell’ambito delle cellule CAR-T, in cui la ricerca si concentra in tre campi principali: le CAR-T già disponibili, per provare ad usarle anche in altre malattie e non solo in quelle per cui sono approvate oggi; quello, più complicato, di creare delle CAR-T che colpiscano due antigeni e che quindi superino la resistenza di una cellula a morire; e il terzo è quello delle cellule CAR-T allogeniche, ovvero che non produci dal paziente ma da linfociti normali di donatori o da sangue di cordone ombelicale, che avrai già pronte all’uso in quanto universali”.

A che punto è la ricerca GIMEMA nel campo delle immunoterapie?

“La ricerca GIMEMA ha lavorato in questi anni nel campo delle immunoterapie con il blinatumomab per la leucemia linfoblastica acuta, ottenendo risultati straordinari. Nel campo delle cellule CAR-T il GIMEMA sta iniziando adesso degli studi.

Il working party delle immunoterapie, che si concentra sulle immunoterapie in generale e non solo su quelle per guarire una malattia neoplastica, ha già avviato due protocolli di studio: uno per capire come stanno funzionando gli attuali anticorpi anti-spike contro il COVID-19 nei pazienti onco-ematologici; un secondo studio per capire se un nuovo anticorpo di sintesi italiana può essere utile per guarire prima nelle forme iniziali di Covid-19, impedendo così al paziente di sospendere le terapie per la malattia neoplastica”.

 

In copertina: immagine a microscopio elettronico di Linfociti T regolatori (in rosso) in interazione con cellule che presentano l’antigene (APC). I linfociti T regolatori (detti soppressori) sono in grado di sopprimere le risposte delle cellule T, quindi di regolare la risposta immunitaria, per mantenere l’omeostasi del sistema immunitario. Crediti: NIAID