Gli inibitori della tirosin-chinasi di Bruton (BTKi) sono in grado di controllare la leucemia linfatica cronica per periodi molto prolungati. Un’analisi di dati raccolti nella pratica clinica quotidiana, pubblicata sulla rivista HemaSphere, ha valutato quali fattori influenzano l’efficacia del farmaco, mostrando che il BTKi ibrutinib è efficace per i pazienti con leucemia linfatica cronica recidivata/refrattaria.
L’ibrutinib, un inibitore della tirosin-chinasi di Bruton (BTKi), è una delle opzioni di elezione per il trattamento della leucemia linfatica cronica (CLL, nell’acronimo inglese) recidivata/refrattaria (R/R). Tuttavia, la somministrazione di questa tipologia di farmaci in pazienti con comorbidità, come quelli comunemente trattati nella pratica clinica, può comportare percentuali di interruzione della terapia più elevate rispetto a quanto atteso.
Per valutare la reale efficacia di un trattamento bisogna cercare di andare oltre ai dati riportati nei trial clinici, muovendosi nell’ambito della cosiddetta “Real World Evidence”, ossia evidenze scientifiche derivate da dati raccolti nella pratica clinica quotidiana. È in questo contesto che il gruppo di lavoro GIMEMA, che si occupa di patologie linfoproliferative croniche, ha avviato una collaborazione con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), per analizzare l’efficacia di nuovi agenti al di fuori degli studi clinici utilizzati in pazienti con CLL inclusi nel registro dei farmaci AIFA.
Nello specifico, un gruppo di ricerca che ha riunito medici e scienziati provenienti dall’Università degli Studi di Ferrara, dall’Università Vita-Salute San Raffale (Milano) e dalla stessa AIFA ha analizzato l’efficacia di un trattamento a base di ibrutinib in una coorte nazionale di oltre 3300 pazienti affetti da CLL R/R.
“I pazienti sono stati inseriti nello studio grazie al fatto che in Italia, per prescrivere ibrutinib, è necessario registrare nella piattaforma AIFA i dati clinici (non quelli anagrafici) di ogni paziente che inizia la terapia – spiega Gian Matteo Rigolin, medico e docente dell’Università degli Studi di Ferrara e primo nome dello studio. Il medico prescrittore deve aggiornare su base trimestrale la prescrizione e il dosaggio del farmaco e, in caso di sospensione, deve riportare i motivi che hanno determinato l’interruzione definitiva del trattamento”.
L’obiettivo dello studio, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista scientifica Hemasphere, era quello di valutare se l’efficacia del farmaco poteva essere stata influenzata dai dati demografici dei pazienti, dalle loro comorbidità, dalle loro condizioni generali (performance status), dalla riduzione della dose dovuta alla non aderenza e dalla presenza di mutazioni geniche (quali delezioni 17p e/o mutazioni TP53).
L’analisi ha rivelato che tutti i fattori elencati hanno contribuito, in maniera indipendente, a una riduzione del tempo intercorso tra l’inizio del trattamento e la sua interruzione (evento che si è verificato in più del 60% dei pazienti, e in oltre 1000 pazienti per cause non legate a morte o progressione della patologia).
Ciononostante, ibrutinib si è dimostrato un trattamento efficace per la leucemia linfatica cronica recidivata/refrattaria.
“I dati ottenuti rassicurano sull’efficacia di questa terapia continuativa che, utilizzata in oltre 150 centri in Italia, ha dimostrato di essere in grado di controllare la malattia per periodi molto prolungati, con sospensioni del trattamento inferiori rispetto a quelle osservate in altri Stati”, conclude Antonio Cuneo, docente dell’Università di Ferrara e Direttore U.O. di Ematologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara.
L’articolo originale è disponibile qui: https://doi.org/10.1002/hem3.70017