I pazienti pediatrici con leucemia mieloide acuta che presentano la fusione del gene MLLT10 hanno una prognosi peggiore con un maggiore rischio di recidiva. Un ampio studio retrospettivo ha aiutato a comprendere meglio questo sottogruppo molecolare con l’obiettivo futuro di sviluppare nuove cure mirate.

Nei bambini, la leucemia mieloide acuta (AML nell’acronimo inglese) è un tumore del sangue molto eterogeneo con una percentuale ancora elevata di insuccesso terapeutico. A cinque anni dalla diagnosi, il 75% dei pazienti sono viventi (Overall Survival, OS) e solo il 55%, è sopravvivente senza eventi avversi (Event-Free Survival, EFS). Tuttavia, tali percentuali possono variare a seconda del sottogruppo citogenetico/molecolare del tumore. Riuscire a individuare e classificare specifiche mutazioni delle cellule leucemiche può quindi aiutare a prevedere il decorso della malattia e avviare lo studio di nuove terapie mirate. Proprio con questo fine, Oussama Abla del The Hospital for Sick Children di Toronto, in Canada, ha appena condotto con i suoi colleghi uno studio retrospettivo, pubblicato sulla rivista Blood Advances, sull’AML caratterizzata dalla fusione del gene MLLT10, una mutazione rara associata a prognosi sfavorevole. L’indagine ha coinvolto più di 2.000 pazienti con AML al di sotto dei 30 anni, arruolati in due trial clinici del Children’s Oncology Group (COG), sostenuto dal National Cancer Institute.

La fusione oncogenica si forma in seguito al riarrangiamento di due cromosomi e porta all’espressione di proteine funzionali alla crescita tumorale. Prima dello studio di Oussama Abla, la fusione di MLLT10 era stata rilevata in diverse neoplasie del sangue, compreso il linfoma linfoblastico e l’AML dell’adulto, ma mai in casistiche così numerose di pazienti pediatrici. In questo elevato numero di pazienti, la fusione di MLLT10 è stata identificata in 127, ovvero nel 6% circa dei casi, di cui la maggior parte con KMT2A e in misura minore con PICALM e altri geni.

In seguito, confrontando le prognosi dei pazienti con AML è emerso che il decorso della malattia è peggiore per i casi con la fusione MLLT10 rispetto a coloro che non la presentano. Come riporta Oussama Abla:

“A cinque anni dalla diagnosi l’OS è del 38,2% nei pazienti con MLLT10 e del 65,7% negli altri, mentre l’EFS è rispettivamente del 18,6% contro il 49%”.

Al momento non si conosce con certezza il motivo per cui i pazienti con MLLT10 rispondono di meno alle terapie. Tuttavia, un’ipotesi lega la fusione del gene a una reazione a catena che sfocia in alterazioni epigenetiche. “Nei pazienti con leucemia mieloide acuta e MLLT10, è stato osservato che il gene HOXA viene iper-espresso, portando all’ipermetilazione di H3K79 e bloccando di conseguenza la maturazione e differenziazione delle cellule”, spiega il ricercatore.

Inoltre, il gruppo di ricerca ha analizzato l’impatto sulla prognosi di questi pazienti, di singole terapie utilizzate, quali il gemtuzumab ozogamicin (GO) e il trapianto allogenico delle cellule staminali ematopoietiche (HSCT nell’acronimo inglese). “Nel nostro studio, questi due trattamenti hanno prodotto un effetto positivo sulla sopravvivenza e la sopravvivenza senza eventi avversi nei casi con MLLT10, anche se i dati rilevati non sono risultati statisticamente significativi”. Tali esiti potrebbero quindi suggerire di condurre ulteriori indagini su un numero ancora più numeroso di pazienti. Oussama Abla, però, pensa siano altre le direzioni da seguire:

“Non credo che la cura con GO o HSCT aumenterà in modo significativo la sopravvivenza dei bambini con LMA e la fusione MLLT10; penso sia necessario identificare nuove terapie mirate”.

La sfida è di particolare complessità, perché “bisognerebbe testare questi trattamenti in estesi studi prospettici, ma è raro individuare gruppi ampi di pazienti con LMA e la fusione MLLT10. Si tratta inoltre di un tumore molto eterogeneo”, conclude il ricercatore. “Per esempio, non si sa ancora come i pazienti che presentano diversi riarrangiamenti di MLLT10 possano rispondere alle stesse terapie mirate”. Ciononostante, diversi farmaci ad azione epigenetica sono in corso di studio, come gli inibitori DOT1L che contrastano la metilazione di H3K79, e gli inibitori della menina che bloccano l’espressione del gene HOXA.

 

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La pubblicazione, pubblicato su Blood Advances, è disponibile a questo link:

https://doi.org/10.1182/bloodadvances.2023010805