Le analisi preliminari dello studio GIMEMA CLL2020 hanno mostrato una modulazione positiva dei linfociti T dopo trattamento con venetoclax, ma è da migliorare il processo di produzione delle cellule CAR-T.

Lo studio GIMEMA CLL2020, presentato a Madrid all’ultimo congresso dell’EHA (European Hematology Association), ha valutato in un gruppo di pazienti affetti da leucemia linfatica cronica l’impatto del trattamento con i farmaci venetoclax e ibrutinib sulle caratteristiche e la funzionalità dei linfociti T e delle cellule CAR-T prodotte questi pazienti. A sei mesi dall’inizio del trattamento con venetoclax è stato possibile osservare nei linfociti T isolati dal paziente una riduzione nell’espressione dei recettori inibitori e un incremento delle sottopopolazioni meno differenziate, indicando un potenziale miglioramento nell’efficacia delle cellule CAR-T.

Ad oggi, l’efficacia della terapia della leucemia linfatica cronica con cellule CAR-T, ovvero linfociti T prelevati dal paziente e geneticamente modificati con l’aggiunta del recettore CAR (Chimeric Antigen Receptor), non è ancora ottimale. “Il sistema immunitario dei pazienti con leucemia linfatica cronica è profondamente alterato dalla malattia”, spiega Marta Coscia, professoressa di ematologia presso il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi dell’Insubria, tra gli autori dello studio.

“Abbiamo voluto verificare l’impatto delle nuove immunoterapie cellulari attualmente in uso per il trattamento di questa malattia sul sistema immunitario del paziente e in particolare sui linfociti T, da cui poi si generano le cellule CAR-T, per verificare se potessero influenzare la generazione di cellule più efficaci”.

Lo studio ha valutato in vitro le caratteristiche immunofenotipiche e funzionali delle cellule T e delle cellule CAR-T prelevate e prodotte da 14 pazienti affetti da leucemia linfatica cronica. Sono stati comparati la composizione, il profilo di espressione di marcatori di membrana e la funzionalità delle cellule ottenute al tempo zero, ovvero prima dell’inizio della terapia con venetoclax o ibrutinib, e dopo 6 mesi dall’inizio del trattamento. “Abbiamo valutato la rappresentazione delle varie sottopopolazioni dei linfociti T, sapendo che se sono presenti cellule meno differenziate questi linfociti funzionano meglio, e inoltre l’espressione delle molecole checkpoint inhibitor, ovvero dei recettori inibitori che quando vengono espressi dai linfociti T sono in genere indicativi di un fenotipo di esaurimento funzionale, meno efficace contro le cellule tumorali”, continua la professoressa Coscia.

Dopo 6 mesi di trattamento con ibrutinib non c’è stata nessuna variazione apprezzabile tra le cellule T e le CAR-T rispetto al tempo zero, mentre con venetoclax è stata osservata una modulazione positiva di quest’ultime.

“Si può dire che a tempi precoci della terapia con venetoclax è possibile osservare una diminuzione nell’espressione dei checkpoint inhibitor sui linfociti T dei pazienti, indicando che il trattamento determina un miglioramento della funzionalità antitumorale di queste cellule. Tuttavia, è stato osservato che il processo di generazione delle cellule CAR-T, che prevede diversi passaggi, porta di nuovo all’acquisizione di alcuni di questi marcatori di esaurimento funzionale, probabilmente indicando che è necessario un ulteriore sforzo per migliorare il processo che consente la produzione di queste cellule”, conclude Coscia.