Il trattamento con gemtuzumab ozogamicin e chemioterapia nelle forme di leucemia mieloide acuta classificate con rischio favorevole o intermedio impatta positivamente sui livelli di malattia minima residua (MRD — Misurable Residual Disease) dopo il ciclo di consolidamento pre-trapianto. È quanto si evince dai risultati preliminari dello studio GIMEMA AML1819 presentati all’ultimo congresso della European Hematology Association (EHA 2023) che si è tenuto a Francoforte.
“Lo studio clinico AML1819 include pazienti giovani (< 60 anni) con leucemia mieloide acuta di nuova diagnosi che abbiano delle caratteristiche citogenetiche favorevoli o intermedie (che influenzano sia la prognosi che le terapie da somministrare, ndr) secondo la classificazione European Leukemia Net (ELN) del 2017. Nella sua prima parte prevede la somministrazione della chemioterapia in associazione con l’anticorpo monoclonale gemtuzumab ozogamicin dopo la quale si analizza il livello di malattia minima residua per orientare la scelta verso il trapianto di cellule staminali autologo (AuSCT) o allogenico (ASCT). Nella seconda parte, invece, sarà valutata l’efficacia di glasdegib nella terapia di mantenimento post-trapianto”, spiega Adriano Venditti, ricercatore e professore ordinario di ematologia presso l’Università di Roma Tor Vergata.
La leucemia mieloide acuta è un tumore che si sviluppa nel midollo osseo determinato da una trasformazione in senso maligno delle cellule staminali della linea mieloide dalle quali originano le cellule del sangue come i globuli rossi, le piastrine e alcuni tipi di globuli bianchi. La trasformazione maligna causa una produzione incontrollata di cellule immature che si accumulano nel midollo osseo e successivamente nel sangue interferendo con produzione e la funzionalità delle cellule non tumorali.
Il protocollo standard di terapia per i pazienti con forme di leucemia mieloide acuta a rischio favorevole o intermedio prevede la somministrazione della chemioterapia in due fasi: una di induzione, che ha lo scopo di raggiungere la remissione della malattia, e una di consolidamento alla quale segue il trapianto di cellule staminali autologo o allogenico.
Nello studio GIMEMA AML1819 al protocollo standard per il trattamento della leucemia mieloide acuta si aggiunge la somministrazione dell’anticorpo monoclonale gemtuzumab ozogamicin diretto contro CD-33 – un antigene espresso dalle cellule leucemiche – allo scopo di analizzare le potenzialità del farmaco nell’indurre una risposta più efficace alla terapia.
A Francoforte sono stati presentati i risultati della prima parte dello studio che, nonostante siano preliminari, sono promettenti.
“La percentuale di pazienti con malattia minima residua negativa è più alta rispetto a quella ottenuta con la sola chemioterapia sia dopo la fase di induzione che dopo quella di consolidamento” spiega Venditti.
“Abbiamo potuto dimostrarlo grazie al confronto con i risultati dello studio AML1310 basato sullo stesso protocollo terapeutico nel quale, però, non era prevista la somministrazione di gemtuzumab ozogamicin”.
Il raggiungimento della malattia minima residua negativa ha implicazioni pratiche, infatti, i pazienti che risultano negativi dopo la fase di consolidamento possono andare incontro alla procedura di trapianto autologo – le cellule staminali da trapiantare provengono dalla stessa persona che le riceve – piuttosto che al trapianto allogenico (da altro donatore), riservato ai pazienti che non hanno raggiunto la negatività.
In questa fase iniziale di AML1819 una percentuale più alta di pazienti ha avuto accesso al trapianto autologo rispetto a quanto avvenuto nello studio AML1310. Se questo avrà implicazioni positive sulla sopravvivenza, però, si potrà dimostrare solo nelle fasi più avanzate dello studio che si concluderà nel 2027.