Uno studio pubblicato sulla rivista Blood presenta, attraverso quattro casi clinici, le strategie terapeutiche per affrontare i deficit congeniti del fibrinogeno, patologie rare ed eterogenee.

I disturbi del fibrinogeno, una proteina cruciale nel processo di coagulazione del sangue, rappresentano una sfida terapeutica che non può essere sottovalutata nella pratica clinica. Un articolo pubblicato su Blood presenta quattro casi clinici proprio per contribuire a far conoscere le strategie terapeutiche che caratterizzano queste rare ma significative patologie della coagulazione.

 

Deficit del fibrinogeno: individuare il trattamento migliore

“I deficit congeniti del fibrinogeno sono molto rari: si stima che l’afibrinogemia, la forma più grave e caratterizzata da una completa assenza di fibrinogeno, interessi 1-30 persone su un milione. Non abbiamo dati precisi sull’ipofibrinogemia, la forma meno grave caratterizzata da una ridotta concentrazione di fibrinogeno, ma sulla base di analisi genetiche recenti la prevalenza dei portatori sani potrebbe essere di 1 su 10.000 persone”, spiega Alessandro Casini, ematologo dell’Università di Ginevra e autore del recente articolo. Come spesso avviene con le malattie rare, il numero ridotto di pazienti ha limitato la possibilità di redigere raccomandazioni cliniche evidence-based, ossia basate sulle migliori prove scientifiche disponibili, integrate con l’esperienza professionale e il contesto specifico.

Ma la rarità di una patologia non dovrebbe mai determinare minori opzioni terapeutiche; dovrebbe, anzi, imporre una maggiore responsabilità nella costruzione di competenze specifiche. È questo l’obiettivo dei quattro casi clinici reali presentati dal professor Casini nel suo articolo: sono scelti per rappresentare le situazioni tipiche che si possono più di frequente presentare nei pazienti con deficit del fibrinogeno.

In particolare, i casi rappresentano la gestione dell’emorragia acuta, dell’intervento chirurgico, della gravidanza e della trombosi.

In altre parole, questi casi raccontano le sfide terapeutiche quando si verificano sanguinamenti dovuti alla patologia; quando il paziente si deve sottoporre a un’operazione con il conseguente rischio di emorragia; quando la paziente è in gravidanza e i rischi che deve affrontare. Il caso di gestione della trombosi, infine, rappresenta una complicanza tanto comune quanto paradossale dei disturbi da deficit di fibrinogeno.

 

Quattro casi e due messaggi

“Questi quattro casi sono paradigmatici delle sfide che si possono presentare nelle persone con disturbi del fibrinogeno; per ciascuno ho illustrato le procedure e le terapie da seguire a seconda del profilo del paziente”, spiega Casini.

Le indicazioni, in linea di massima, si possono riassumere nella necessità di una valutazione accurata della gravità del deficit di fibrinogeno per indirizzare il trattamento; la somministrazione di fibrinogeno (meglio nella forma concentrata) per i casi di emorragia; le infusioni di fibrinogeno bilanciate con farmaci antitrombotici per i casi di trombosi e, infine, l’esigenza di un approccio multidisciplinare per prevenire le complicanze che possono insorgere durante la gravidanza delle donne con deficit di fibrinogeno.

“Al di là delle indicazioni operative, però, il messaggio più importante è che in presenza di queste rare malattie, quando non si conosce con precisione la miglior soluzione terapeutica, è fondamentale che il medico curante si rivolga ai centri specializzati, senza esitazione”, commenta Casini. “Così come è importante prevedere sempre un approccio multidisciplinare, non solo nel caso specifico della gravidanza: nel trattamento dei pazienti con deficit del fibrinogeno, così rari ed eterogenei, nessun medico può lavorare da solo. A seconda dei casi, è sempre necessario il confronto con altri specialisti, siano ginecologi, chirurghi o altri, per stabilire strategie terapeutiche in grado di tenere in conto la complessità della patologia”. Perché quanto più rara è la patologia, tanto più importante è la rete di competenze per la miglior terapia del paziente.