I risultati preliminari di un ulteriore studio sulla leucemia linfoblastica acuta Ph+, presentati al convegno ASH 2023, suggeriscono l’efficacia potenziale anche di un altro trattamento chemio-free, basato su un differente inibitore di tirosin chinasi: ponatinib.
La terapia per il trattamento della leucemia linfoblastica acuta Philadelphia positiva (LAL Ph+), un sottotipo di leucemia che a differenza delle altre forme di leucemia acuta linfoblastica (più frequenti in età pediatrica) interessa soprattutto gli adulti, ha fatto enormi passi avanti grazie all’uso degli inibitori delle tirosin chinasi. Appena pochi anni fa sono stati pubblicati i risultati dello studio GIMEMA LAL2116 D-ALBA, dedicato a un trattamento chemio-free, di maggior efficacia e con minori effetti collaterali, basato sull’inibitore dasatinib in combinazione con l’anticorpo monoclonale bispecifico blinatumomab. Ma durante l’ultimo congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH), tenutosi in dicembre, sono stati presentati i risultati preliminari del braccio sperimentale del trial clinico di fase III GIMEMA ALL2820, il cui obiettivo è la valutazione di una terapia chemio-free basato su ponatinib, un diverso inibitore di tirosin chinasi.
La LAL Ph+ è caratterizzata dalla traslocazione di due cromosomi, il 9 e il 22 (il nome “Philadelphia” deriva dal fatto che proprio a Philadelphia lavorava il gruppo di ricerca che scoprì la traslocazione). La conseguenza è la formazione di una proteina di fusione, una tirosin chinasi che, in questa sua forma anomala, causa una proliferazione alterata dei precursori dei linfociti, che a sua volta porta al tumore. Negli ultimi anni, le strategie terapeutiche hanno avuto importanti sviluppi proprio grazie all’uso di inibitori specifici per la tirosin chinasi alterata. Ulteriori avanzamenti sono derivati dall’uso del blinatumomab, un anticorpo monoclonale bispecifico, in grado cioè di legare sia un recettore sulle cellule tumorali (rendendole attaccabili dal sistema immunitario) e uno sui linfociti T, così da attivarli.
L’uso combinato dell’inibitore delle tirosin chinasi dasatinib e del blinatumomab è stato precedentemente valutato nel corso del trial GIMEMA LAL2116 D-ALBA, i cui risultati preliminari sono stati pubblicati nel 2020 e, proprio alla fine del 2023, sono stati pubblicati anche i risultati del follow-up a lungo termine. Nel frattempo, per migliorare ulteriormente il trattamento, nel 2021 è iniziato il trial di fase III GIMEMA ALL2820, nel quale l’anticorpo blinatumomab è preceduto un diverso inibitore delle tirosin chinasi, il ponatinib.
Il trial è ancora in fase di arruolamento. Ciononostante, i dati preliminari presentati al convegno ASH sono incoraggianti. Il protocollo disegnato dal gruppo di ricerca prevede la somministrazione di ponatinib nella fase d’induzione (in dosi di 30 o 45 mg a seconda dell’età del paziente, che possono essere ridotte a 30 mg dopo 28 giorni per evitare tossicità eccessive), cui segue, per la fase di consolidamento, la somministrazione di almeno due cicli di blinatumomab. I pazienti trattati nel braccio sperimentale, tra settembre 2021 e luglio 2023, sono stati 74 (sebbene 16 siano poi stati esclusi dall’analisi perché stanno ancora ricevendo il trattamento per la fase d’induzione), il trenta per cento circa dei quali di età superiore ai 65 anni.
Secondo i risultati, dopo la fase d’induzione con il ponatinib, il 95% dei pazienti ha mostrato remissione completa e il 38,2% mostrava una risposta molecolare (ossia, erano presenti marcatori molecolari specifici che indicavano la risposta alla terapia). Di 40 pazienti valutabili, inoltre, al termine della fase di consolidamento, oltre la metà (62,5%) mostrava risposta molecolare. Un solo paziente ha avuto una ripresa di malattia.
Globalmente, seppur preliminari, questi dati suggeriscono che la terapia chemio-free basata sulla combinazione dell’inibitore di tirosin chinasi ponatinib e l’anticorpo monoclonale blinatumomab possa essere una valida strategia per il trattamento della leucemia linfoblastica acuta Ph+. In particolare, rispetto al trattamento D-ALBA, il gruppo di ricerca ha segnalato risultati leggermente migliori nella risposta molecolare in fase d’induzione, e sostanzialmente equivalenti dopo due cicli di blinatumomab. La differenza, e il potenziale vantaggio dell’uso del ponatinib, potrebbe essere nel minor tasso di ricadute: infatti, nello stesso lasso di tempo ne sono state documentate tre con il trattamento dasatinib-blinatumomab, e una per il trattamento ponatinib-blinatumomab. Tuttavia, sarà necessario proseguire gli studi e valutare i risultati nel tempo.