Sono stati presentati al congresso ASH2023 i risultati dello studio di follow up dedicato al trattamento della leucemia promielocitica acuta, e condotto nell’ambito del progetto europeo HARMONY. Il confronto tra il trattamento classico e il trattamento chemio-free ATRA/ATO conferma i migliori risultati di quest’ultimo, frutto di una ricerca che ha avuto come protagonista il mondo dell’ematologia italiano.
Seguire i pazienti nel tempo e, soprattutto, allargarne la casistica così da avere un campione sempre più variegato e dunque più rappresentativo della popolazione: sono passaggi fondamentali per definire sempre meglio efficacia e sicurezza dei trattamenti. Ed è proprio questo il valore della pubblicazione dedicata al trattamento della leucemia promielocitica acuta (APL), realizzata nell’ambito del più ampio progetto HARMONY, i cui risultati sono stati presentati al congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH-2023).
Una storia di ricerca italiana
Nato nel 2017, HARMONY è una vasta iniziativa europea che riunisce enti e stakeholder multi-disciplinari con l’obiettivo di sviluppare una piattaforma di Big Data per le neoplasie ematologiche, così da stabilire in modo rapido le migliori opzioni terapeutiche e valutare gli eventuali effetti avversi associati.
Tra le neoplasie su cui si concentra il progetto vi è la leucemia promielocitica acuta, un sotto-tipo di leucemia mieloide acuta aggressiva e rara: rappresenta circa il 5-10% dei casi di leucemia mieloide acuta, con circa 450 nuove diagnosi ogni anno in Europa.
È dovuta a una traslocazione cromosomica che porta alla fusione di due geni, quello che codifica per il recettore dell’acido retinoico e il gene PML. Ne consegue che la produzione del recettore alfa dell’acido retinoico in una forma alterata. Questa proteina si lega all’acido retinoico e, nella sua forma fisiologica, interagisce con il DNA. La proteina alterata nella APL, invece, compromette la maturazione dei promielociti (la forma immatura dei leucociti) e determina l’insorgenza della leucemia.
“Oggi l’APL è curabile nella maggior parte dei casi, e questo si deve in gran parte al mondo della ricerca italiana. GIMEMA, in effetti, ha avuto un ruolo determinante nello sviluppo di terapie per la cura di questa particolare leucemia”, racconta Maria Teresa Voso, professoressa ordinaria di ematologia all’Università di Roma Tor Vergata e coordinatrice dello studio.
“Dobbiamo molto, soprattutto, al lavoro straordinario portato avanti da Francesco Lo Coco, coordinatore del gruppo di studio dell’APL del GIMEMA. Il professore ci ha lasciati nel marzo 2019, ma rimane un’eredità preziosa del suo lavoro: pioniere della ricerca nel campo dell’APL fin dai primi anni ’90, quando identificò i geni coinvolti nella traslocazione, nel 2013, ha descritto sul New England Journal of Medicine i risultati del trial clinico GIMEMA APL0406, con i dati del confronto tra il trattamento classico, basato sulla chemioterapia, e quello chemio-free (senza chemioterapia), nei pazienti adulti con APL. Oltre a numerosi altri riconoscimenti, nel 2018, le sue ricerche gli sono valse l’attribuzione del premio Josè Carreras Award della European Hematology Association”.
I risultati del trattamento chemio-free hanno rappresentato una pietra miliare nella storia della leucemia promielocitica acuta, e hanno portato all’approvazione del trattamento chemio-free ATRA/ATO, basato sulla somministrazione combinata di acido all-trans retinoico (ATRA) e triossido d’arsenico (ATO), come trattamento standard della neoplasia.
Verso il progetto HARMONY
Sono stati proprio i dati del trial APL0406 la base dello studio condotto per il progetto HARMONY, insieme a quelli del trial britannico AML-17 e a quelli osservazionali raccolti dai registri nazionali di 6 paesi europei. “Dopo l’approvazione del trattamento ATRA/ATO per la leucemia promielocitica acuta, abbiamo proposto d’inserire nel progetto HARMONY anche uno studio su questa neoplasia, unendoci ad altri partner internazionali, allo scopo di rispondere ad alcuni quesiti rimasti irrisolti nell’APL, anche a causa della rarità della patologia. Fra questi, ricordiamo l’incidenza delle morti precoci nella fase peri-diagnosi, delle leucemie secondarie fra le complicanze a lungo termine, e in generale, il modo migliore per la prevenzione e la gestione delle complicanze”, spiega Voso. “Il lavoro presentato all’ASH è relativo ai dati del follow up a lungo termine di quasi 1.300 pazienti adulti che hanno ricevuto la diagnosi di APL tra il 2007 e il 2020, di cui circa il 50% ha ricevuto il trattamento classico basato sulla somministrazione di ATRA e del chemioterapico idarubicina (terapia denominata AIDA), mentre gli altri sono stati trattati con ATRA/ATO”.
I risultati hanno confermato che il trattamento chemio-free prolunga in modo significativo la sopravvivenza a dieci anni dei pazienti con APL a rischio basso-intermedio rispetto al trattamento AIDA (rispettivamente del 90% e del 77%).
La sopravvivenza risulta anche correlata all’età, con risultati migliori per pazienti al di sotto dei 50 e dei 69 anni. In generale, inoltre, la sopravvivenza risulta significativamente superiore per i pazienti coinvolti nei trial clinici rispetto a quelli trattati nel normale contesto clinico, probabilmente a causa di bias di selezione. Per le forme ad alto rischio, che rappresentano circa un quarto delle APL, le conclusioni sono meno chiare a causa del numero limitato di pazienti, sebbene i dati sembrino comunque indicare risultati migliori per il trattamento ATRA/ATO.
“L’opzione chemio-free migliora la sopravvivenza perché, essendo un trattamento mirato, risulta meno tossico e può essere somministrato in regime ambulatoriale a partire dal secondo ciclo. Inoltre, riduce in modo significativo l’incidenza di eventi avversi precoci come danni cardiaci e infezioni, e di eventi tardivi quali recidive e leucemie secondarie. Complessivamente, queste caratteristiche hanno migliorato significativamente anche la qualità della vita dei nostri pazienti”, conclude Voso.