Il 19 giugno si celebra la diciannovesima Giornata mondiale dell’anemia falciforme, ufficialmente riconosciuta dalle Nazioni Unite per favorire le attività di sensibilizzazione riguardo questa malattia, su scala internazionale. L’istituzione di questa giornata nel 2008 ha significato un passo importante nel riconoscimento dell’anemia falciforme come problema di salute pubblica. Ancora oggi c’è la necessità di sottolineare quanto sia importante comprendere quali siano i problemi legati alla malattia.
Prima di capire come la pandemia da COVID-19 ha avuto effetto sui pazienti affetti da anemia falciforme e sulle loro famiglie, bisogna fare un passo indietro e conoscere meglio le caratteristiche di questa patologia. Per farlo, GIMEMA informazione ha intervistato Raffaella Colombatti, ematologa alla Clinica di onco-ematologia pediatrica di Padova e coordinatrice del gruppo di lavoro Patologie del globulo rosso dell’Associazione italiana di ematoncologia pediatrica (AIEOP).
Cos’è l’anemia falciforme?
“È uno dei termini con cui viene indicata la malattia drepanocitica, una malattia genetica del globulo rosso con cui si nasce e che viene trasmessa dai due genitori portatori.
È la malattia dell’emoglobina – la proteina che trasporta l’ossigeno nei globuli rossi – più comune al mondo ed è diffusa in zone malariche o che lo sono state.
Si trova in Africa, India e, per effetto delle migrazioni, anche in Sud e Nord America e in Europa. In Italia c’è stato un aumento dell’anemia falciforme, soprattutto negli ultimi 20-30 anni per via degli effetti migratori. È una malattia cronica con cui si nasce ed è caratterizzata da manifestazioni acute imprevedibili, a volte letali. È molto complessa e richiede una presa in carico specialistica, con un modello “hub and spoke”, ovvero una organizzazione delle cure da parte di centri specialistici che prevede una rete che accompagni il paziente”.
Quali sono le terapie disponibili?
“Sono stati fatti dei passi avanti per le cure dei bambini che nascono con anemia falciforme. L’aspettativa di vita è più alta rispetto agli anni passati ma non è ancora soddisfacente. Questo soprattutto grazie allo screening neonatale che però, purtroppo, non è ancora su base nazionale. Ulteriori misure sono la profilassi con Amoxicillina, le vaccinazioni, lo screening con doppler transcranico, l’uso dell’idrossiurea e la “comprehensive care”, una presa in carico globale del paziente e della famiglia. Fra le terapie possibili c’è anche il trapianto di midollo, opzione che non è disponibile per tutti per mancanza di donatori. In ogni caso tutte queste terapie non sono sufficienti per ridurre le complicanze acute e per prevenire un eventuale danno agli organi. Ci sono molti studi sperimentali e, per fortuna, l’Italia fa parte di alcuni di questi. Inoltre, l’European Medicines Agency (EMA) ha già approvato un farmaco sperimentale: il INN- crizanlizumab, un anticorpo monoclonale anti-P-selectina.
A che punto sono gli studi? Quali le prospettive per il futuro?
Diversi centri sperimentali propongono terapie con farmaci che rallentano la malattia come il Voxelotor. Non sono ancora disponibili sul mercato però, quindi bisognerà attendere prima che queste cure siano disponibili per tutti.
Un’altra frontiera aperta è quella della terapia genica. Utilizzare, quindi, le stesse cellule del paziente ingegnerizzate con dei vettori che portano un gene sano al posto di quello malato.
In questo momento alcuni trial sono stati momentaneamente sospesi per approfondire l’occorrenza di un caso di leucemia mieloide acuta in un paziente sottoposto a terapia genica dagli Stati Uniti. In ogni caso sono delle frontiere molto promettenti e i ricercatori hanno discusso i risultati al recente Congresso dell’Associazione Europea di Ematologia (EHA), quindi speriamo in una ripresa quanto prima”.
Quali sono stati gli effetti del COVID-19 sui pazienti affetti da anemia falciforme?
“All’inizio si pensava che le complicanze del COVID sarebbero state devastanti nella drepanocitosi. In realtà i pazienti sono stati molto prudenti, stando in isolamento durante il periodo di lockdown. Il numero di casi di COVID-19 tra i malati di drepanocitosi sono bassi e con rare manifestazioni severe. Di negativo c’è che tutto il sistema medico è stato fagocitato dai servizi COVID e il monitoraggio di questa patologia ha subito un rallentamento. Inoltre, si sono dovuti ridurre o sospendere eventi e incontri di supporto ai pazienti. Gli adolescenti hanno sicuramente pagato un prezzo alto: oltre a essere costretti in casa, hanno dovuto fare i conti con una malattia cronica da gestire più in solitudine”.
Proprio per dare sostegno, anche psicologico, ai pazienti affetti da anemia falciforme esistono nel mondo diverse associazioni di volontariato. La Sickle Cell Society, ad esempio, supporta i pazienti e le loro famiglie dando l’opportunità a chiunque di poter creare una campagna di raccolta fondi per la propria comunità. Lo stesso vale per EuroBloodNet, la rete di riferimento europea per il supporto ai clinici e ai pazienti con malattie rare ematologiche. Esistono varie associazioni locali di pazienti con drepanocitosi in Italia, realtà composte sia da pazienti italiani che stranieri. Ci sono la Fondazione Italiana Talassemia e Drepanocitosi Leonardo Giambrone, l’Associazione Italiana Drepanocitici di Torino o la Federazione Nazionale delle Associazioni Talassemia Drepanocitosi Anemie Rare.
Sui siti internet delle diverse associazioni è possibile trovare tutte le informazioni sulla malattia, sulle attività di ricerca e sul lavoro dei volontari. Chiunque può dare il proprio contributo, in diverse misure, se lo desidera.