Verificare tempestivamente la presenza della mutazione FLT3-ITD permette di anticipare il rischio di ricomparsa della malattia.
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La leucemia mieloide acuta (LMA) è un tumore ematologico caratterizzato da mutazioni a carico di numerosi geni, che ne influenzano le possibilità di cura. FLT3-ITD è la più comune mutazione del gene FLT3 e si osserva in circa il 25% dei pazienti. È associata ad aumentato rischio di ricomparsa e decorso sfavorevole della malattia. Uno studio recente, pubblicato su Blood Cancer Journal, ha permesso di caratterizzare questa mutazione in una fase molto precoce della malattia e di valutare in anticipo il rischio di recidiva.
“Sappiamo, sia da nostri studi precedenti che dalla letteratura, che la gran parte delle leucemie mieloidi acute con geni FLT3-ITD mutati che recidivano si sviluppano da una sottopopolazione di cellule che non è visibile all’esordio perché è molto piccola e gli strumenti diagnostici in uso non hanno sufficiente sensibilità per rilevarle”, spiega a GIMEMA informazione Serena Travaglini, ricercatrice dell’Università Tor Vergata, e primo autore dello studio. “In questo lavoro abbiamo fatto un’analisi immunofenotipica e mutazionale di FLT3-ITD proprio in queste cellule, che abbiamo chiamato precursori cellulari leucemici”.
Nello studio i ricercatori hanno analizzato i campioni cellulari di 38 pazienti con mutazione FLT3-ITD. La valutazione immunofenotipica serve a caratterizzare le proteine di superficie (gli antigeni) per ottenere informazioni sul grado di differenziazione cellulare – ossia sul grado di specializzazione della struttura e della funzione delle cellule – e distinguere le cellule sane da quelle malate. Per l’analisi sono stati valutati gli antigeni CD25/CD123/CD99. “Abbiamo visto come questa mutazione FLT3-ITD sia maggiormente presente nei precursori cellulari leucemici rispetto alle cellule mononucleate, più differenziate, su cui normalmente si fanno le analisi in diagnostica”, commenta Travaglini.
“In un paziente abbiamo potuto seguire l’evoluzione dei precursori, dalla diagnosi ai vari controlli, osservando la presenza di molte cellule con il gene FLT3 mutato fino alla remissione completa, cioè all’assenza di segni e sintomi della malattia. Grazie a questo dato, è stato possibile anticipare la recidiva di due mesi”.
L’identificazione dei geni coinvolti nella leucemia mieloide acuta permette di scegliere trattamenti farmacologici mirati. Negli ultimi anni sono stati approvati farmaci inibitori delle tirosin-chinasi (TKI) che hanno come bersaglio specifico FLT3, tra questi la midostaurina. Anche se si sono rivelati efficaci, il tasso di recidiva della malattia è comunque alto (circa il 50% dopo due anni).
“I nostri dati suggeriscono che i precursori leucemici possano rappresentare un serbatoio di cellule leucemiche refrattarie ai trattamenti convenzionali. Per cui, verificare tempestivamente questa piccola sottopopolazione di cellule è fondamentale per la scelta della terapia e per la valutazione della prognosi”.
Dall’analisi immunofenotipica è anche emersa una forte correlazione tra la presenza dell’antigene CD99 e quella del gene FLT3-ITD mutato: “Abbiamo ritenuto l’antigene CD99 un marcatore affidabile delle cellule staminali leucemiche, così abbiamo testato in laboratorio l’azione di un anticorpo monoclonale anti-CD99 e abbiamo visto che causava la morte delle cellule malate – spiega Travaglini. In particolare, colpiva proprio i precursori cellulari leucemici isolati dai pazienti che avevano avuto una recidiva dopo il trattamento con la midostaurina. Il nostro obiettivo è quello di mettere a punto una terapia con un anticorpo monoclonale anti CD99 e un farmaco inibitore delle tirosin-chinasi già in uso per le leucemie mieloidi acute FLT3-ITD mutate, e valutare se la combinazione possa migliorare l’efficacia terapeutica”.