Il D-dimero è un marcatore essenziale, ma non sempre specifico, del tromboembolismo venoso. Va perciò inquadrato nell’ambito della storia clinica del singolo paziente perché può essere legato a altri problemi quali infezioni, infiammazioni sistemiche o neoplasie. Una review pubblicata su Haematologica propone una procedura per gestire pazienti con un aumento del D-dimero senza segni o sintomi di formazione di trombi.
Il D-dimero è un prodotto di degradazione della fibrina – cioè di una proteina coinvolta nei meccanismi di coagulazione del sangue – impiegato prevalentemente nel contesto diagnostico e di follow-up del tromboembolismo venoso. Proprio il dosaggio del D-dimero infatti assume un ruolo chiave per valutare la presenza di una trombosi venosa profonda e di sue recidive nel tempo, al fine di ottimizzare la terapia anticoagulante.
Una review pubblicata ad aprile 2024 sulla rivista Haematologica, ha analizzato e discusso il ruolo di questo marcatore nell’ambito di contesti clinici diversi dal classico evento tromboembolico e del suo follow-up.
Come evidenziato da diversi studi, i livelli di D-dimero tendono ad elevarsi anche in contesti quali infezioni, infiammazioni sistemiche o neoplasie, così come in contesti fisiologici come gravidanza, invecchiamento e attività fisica sostenuta. Nella pubblicazione su Haematologica è stato analizzato il ruolo del D-dimero nelle varie condizioni fisiologiche e patologiche a partire dal caso di una paziente che, pur essendo seguita per un episodio di trombosi venosa profonda, ha mostrato come il D-dimero ne sia marcatore essenziale ma non sempre specifico e vada perciò inquadrato nell’ambito della storia clinica del singolo paziente.
La donna, infatti, a seguito di un episodio di trombosi venosa profonda della vena poplitea della gamba sinistra, è stata a lungo monitorata tramite dosaggio del D-dimero al fine di valutare eventuali recidive. Il monitoraggio aveva mostrato un andamento fortemente fluttuante del D-dimero, fatto che aveva portato i medici a interrompere e ricominciare la terapia anticoagulante in base ai livelli rilevati dai dosaggi.
Analizzando la storia clinica della paziente poi, i ricercatori sono stati in grado di comprendere che i livelli di D-dimero non erano collegati a recidive della trombosi, bensì a un problema di coxartrosi e gonartrosi – ovvero infiammazioni delle articolazioni – della medesima gamba: il D-dimero si elevava al peggiorare del dolore dell’infiammazioni provocati dalla patologia ortopedica.
I ricercatori quindi hanno svolto una disamina molto approfondita su quelle che sono le cause fisiologiche e patologiche dell’innalzamento del D-dimero. Proprio la varietà di condizioni che possono risultare in un rialzo del D-dimero – infezioni, infiammazioni, neoplasie, tromboembolismo venoso, coagulazione intravascolare disseminata, cirrosi e malattie cardiovascolari – ha portato i ricercatori a proporre un algoritmo diagnostico per condurre i clinici ad una diagnosi certa di trombosi venosa profonda e conseguentemente assicurare che il paziente riceva le terapie adeguate.
L’algoritmo integra nell’approccio diagnostico la misurazione del D-dimero con l’imaging radiologico e un cutoff relativo all’età. Quest’ultimo si è reso particolarmente necessario perché, come già detto, il D-dimero si innalza fisiologicamente con l’invecchiamento e facilmente negli anziani si riscontra la presenza di elevati livelli di D-dimero, superiori al cutoff convenzionale di 500 ug/L. Questo dato isolato potrebbe dunque indurre erroneamente i clinici a sospettare un tromboembolismo venoso rincorrendo inutilmente alla diagnostica per immagini.
Appurato che i livelli basali dell’anziano, così come quelli delle donne in gravidanza, differiscono da quelli convenzionali, il cutoff per età e una accurata raccolta della storia clinica del paziente, si rendono necessari per guidare i clinici verso un migliore e più mirato approccio diagnostico.
Pier Mannuccio Mannucci, tra gli autori della pubblicazione, spiega perché questo lavoro è in particolare rivolta proprio agli ematologi: “Il mistero del perché alcune persone sane (poche, per fortuna) hanno alti livelli di questo parametro rimane tale, ma speriamo che l’articolo serva almeno a mettere in evidenza i casi associati a patologia”.
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