Su Blood Cancer Journal una review analizza lo stato delle conoscenze sulla leucemia a grandi linfociti granulari T e i meccanismi molecolari che condivide con alcune malattie autoimmuni.

Da tempo è nota l’associazione tra la leucemia a grandi linfociti granulari di tipo T (T-LGLL) e alcune malattie infiammatorie e autoimmuni, per esempio l’artrite reumatoide e la sindrome di Felty. Questa relazione non è ancora pienamente compresa, ma recenti studi hanno dimostrato che entrambe le malattie possono condividere alcuni meccanismi molecolari comuni. In particolare spicca il ruolo delle mutazioni del gene STAT3 (Signal transducer and activator of transcription 3), sul quale ci si sta concentrando anche per lo sviluppo di terapie innovative. Un gruppo di ematologi italiani ha dedicato a questi argomenti una review pubblicata su Blood Cancer Journal che offre il punto della situazione.

Gianpietro Semenzato, professore dell’Università di Padova e del VlMM (Istituto Veneto di Medicina Molecolare) e primo autore del lavoro spiega:

“La leucemia a grandi linfociti granulari di tipo T è una rara malattia caratterizzata da una proliferazione anomala di linfociti granulati. Nel citoplasma di queste cellule, di dimensioni maggiori rispetto ai normali linfociti, sono visibili al microscopio granuli che contengono le sostanze citotossiche con cui queste cellule proliferanti attaccano le altre cellule, da cui il nome. Si tratta di una malattia complessa, un tempo confusa con la più frequente leucemia linfatica cronica di tipo B, che spesso si sviluppa senza sintomi. Quando progredisce verso forme più gravi la complicanza più frequente è la neutropenia, cioè il ridotto numero di neutrofili. Quando la neutropenia è grave (meno di 500 cellule per microlitro), l’organismo è esposto a gravi infezioni, potenzialmente fatali”.

I progressi della genetica molecolare hanno però permesso di comprendere meglio la patogenesi di T-LGLL, e al tempo stesso hanno offerto nuovi strumenti diagnostici, spiegano gli autori nella review. L’attenzione dei ricercatori è rivolta soprattutto alle mutazioni del gene STAT3.

Spiega Semenzato:

“In circa 50% dei casi di T-LGLL si trovano mutazioni somatiche del gene STAT3. Questo gene produce una molecola che, una volta attivata, penetra nel nucleo delle cellule e determina l’attivazione di diversi geni coinvolti nel differenziamento e proliferazione delle cellule, nell’infiammazione e nell’apoptosi. Le mutazioni determinano una disregolazione di questo processo che può promuovere l’abnorme proliferazione di linfociti T che osserviamo nella T-LGLL. Ma le stesse mutazioni di STAT3 sono molto frequenti anche nelle malattie autoimmuni associate, come l’artrite reumatoide e la sindrome di Felty, nelle quali spesso coesiste anche la neutropenia”.

L’ipotesi è che esista un processo condiviso in entrambe le patologie e che le mutazioni di STAT3 siano al crocevia di questa relazione. Sappiamo che, da una parte, l’attivazione di STAT3 nella T-LGLL può provocare infiammazione, che è una caratteristica tipica delle malattie autoimmuni. D’altra parte l’infiammazione delle malattie autoimmuni potrebbe promuovere le stesse mutazioni di STAT3 che troviamo in moltissimi casi di T-LGLL.

Gli autori paragonano il problema al paradosso dell’uovo e della gallina. Non è infatti facile stabilire i rapporti causa ed effetto. Non sempre i pazienti presentano sia T-LGLL che una malattia autoimmune, e non sempre troviamo le stesse mutazioni. Quando tali evenienze si verificano, gli studi retrospettivi hanno dimostrato che l’artrite reumatoide può essere stata diagnosticata prima dell’insorgenza T-LGLL, dopo, o contemporaneamente. Rimane certo, però, il ruolo di STAT3 in moltissimi casi, e questo può essere già sfruttato per lo sviluppo di nuove terapie.

Spiega ancora il professore:

“Al momento non esiste una terapia specifica per T-LGLL, tradizionalmente la malattia è trattata con immunosoppressori. Le terapie innovative in sviluppo prevedono invece di agire su specifici bersagli. Una strategia potrebbe essere appunto l’inibizione delle proteine STAT, ma si possono inibire anche altre molecole coinvolte dall’attivazione di STAT, come l’interleuchina 15, una citochina centrale nel processo infiammatorio e altre ancora”.

In conclusione gli autori precisano che l’arricchimento del nostro arsenale terapeutico per T-LGLL dipenderà dalla capacità di personalizzare i trattamenti, differenziando i profili di mutazione grazie alle nuove tecniche di sequenziamento. Il fine ultimo è quello di differenziare i gruppi di pazienti che rispondono in modo specifico a un trattamento.

 

La review di Wang Y, et al. è disponibile a questo link: https://doi.org/10.1038/s41408-024-00977-0