Durante il congresso annuale dell’American Society of Hematology sono stati presentati i risultati del trial di fase II GIMEMA LAL2317, che evidenziano il ruolo positivo dell’immunoterapico blinatumomab per il trattamento della leucemia acuta linfoblastica Philadelpha negativa.
La leucemia acuta linfoblastica (LAL) è il tumore più frequente in età pediatrica, ed è più raro nell’adulto. L’impiego di approcci a ispirazione pediatrica ha rappresentato un importante avanzamento nel trattamento delle LAL dell’adulto. Un ulteriore progresso si avvale dell’impiego dell‘immunoterapia, in particolar modo del blinatumomab: è quanto suggeriscono i risultati del trial clinico di fase II GIMEMA LAL2317, disegnato per pazienti adulti (18-65 anni) di nuova diagnosi affetti da leucemia acuta linfoblastica di tipo B Philadelphia negativa (Ph-B-LAL), ossia caratterizzati dall’assenza della traslocazione cromosomica t(9;22). I dati, raccolti da un gruppo di medici e ricercatori afferenti e numerosi enti italiani, sono stati presentati a dicembre durante il congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH2023).
Lo studio ha arruolato 149 pazienti, in un periodo compreso tra il 2018 e il 2020, ed era basato sulla chemioterapia pediatrica (con adeguamenti di dosaggio per i pazienti di età superiore ai 55 anni) cui sono aggiunti due cicli di blinatumomab. Quest’ultimo rappresenta una terapia mirata: si tratta infatti di un anticorpo monoclonale in grado di riconoscere e legare specifici recettori delle cellule tumorali, stimolando contro di esse il sistema immunitario.
Lo scopo principale del trial è proprio valutare, dopo il primo ciclo di trattamento con blinatumomab, l’assenza di malattia minima residua cioè la presenza di residui di cellule tumorali residuali non identificabili con la citomorfologia (esame al miscroscopio) ma solo con test molecolari specifici. Dopo il periodo d’induzione con la sola chemioterapia, l’88% dei pazienti mostrava remissione completa, sebbene con differenze significative a seconda dell’età: i risultati sono migliori nei pazienti più giovani.
L’assenza di malattia minima residua si è verificato per il 70% al termine della fase di consolidamento precoce (sola chemioterapia) e, dopo il primo ciclo con blinatumomab, la percentuale è aumentata al 93%.
Inoltre, il follow up a più di tre anni mostra che la sopravvivenza complessiva è del 71% e la sopravvivenza libera da malattia è del 66%. Inoltre, è importante evidenziare che, al termine del primo ciclo di trattamento con blinatumomab, la presenza di malattia minima residua non si è più dimostrata significativa per la sopravvivenza: un dato che sottolinea l’efficacia terapeutica di questo farmaco ed è coerente con quanto già osservato nei pazienti con leucemia acuta linfoblastica nella forma Philadelphia positiva, sebbene i numeri siano piccoli e pertanto non statisticamente significativi.
Lo studio evidenzia però anche come il sottotipo di LAL indicato come “Ph-like”, cioè privo della traslocazione che caratterizza la LAL Philadelphia positiva ma con simile espressione genica, sia indice di prognosi sfavorevole.
In particolare, l’incidenza di ricadute per i pazienti negativi alla malattia minima residua è, complessivamente, del 42,5% nei pazienti Ph-like, e del 17,5% negli altri. Questo sottotipo di leucemia rappresenta circa il 15-30% dei pazienti con LAL-B: è dunque necessario valutare una combinazione di strategie terapeutiche, simili a quelle impiegate per la LAL Philadelphia positiva, per trovare un trattamento migliore, suggerisce il gruppo di ricerca. Un altro gruppo di pazienti, la cui incidenza è ben più rara, è rappresentata dai casi con riarrangiamenti a carico del gene MEF2D, che hanno presentato tutti ripresa di malattia, suggerendo che questo sottogruppo necessiti urgentemente di trattamenti mirati alternativi.
In conclusione, l’introduzione del blinatumomab già nel trattamento di prima linea risulta altamente efficace nel migliorare la prognosi della leucemia acuta linfoblastica Philadelphia negativa dell’adulto.