Le nuove alterazioni del cariotipo normale, individuate grazie a metodiche di sequenziamento del genoma definite a “long read sequencing”, potrebbero migliorare la stratificazione dei pazienti con leucemia mieloide acuta e il loro decorso terapeutico. I risultati dello studio sono stati presentati a dicembre all’ultimo congresso della Società Americana di Ematologia, ASH 2023.
La corretta e precoce classificazione della leucemia mieloide acuta è di fondamentale importanza per riuscire a impostare, già nelle prime fasi della malattia, l’approccio terapeutico più adatto al sottotipo identificato. La leucemia mieloide acuta (AML) è una malattia molto eterogenea che colpisce le cellule del midollo osseo da cui hanno origine gli elementi corpuscolati del sangue. L’eterogeneità della malattia è legata all’ampio numero di sottotipi di AML che vengono classificati in base alla morfologia della cellula leucemica e anomalie genetiche e cromosomiche di vario tipo. Lo studio presentato a San Diego, durante l’ultimo congresso della Società Americana di Ematologia (ASH – American Society of Hematology), ha permesso di identificare specifiche alterazioni strutturali del genoma che sembrerebbero essere associate a una prognosi peggiore in pazienti AML risultati a cariotipo normale. Ne abbiamo parlato con Niccolò Bartalucci, ricercatore dell’Università di Firenze che è tra gli autori della ricerca.
Sono stati analizzati i dati provenienti da un campione di 247 pazienti con leucemia acuta mieloide con cariotipo normale, ovvero con un assetto cromosomico privo di alterazioni apprezzabili con le metodiche standard utilizzate in clinica. Questo sottotipo di leucemia mieloide acuta, ovvero con cariotipo normale, rappresenta circa il 40% di tutte le AML ed è associato ad una prognosi estremamente eterogenea. “Lo scopo dello studio è stato migliorare la stratificazione del rischio in questa categoria di pazienti”, ci spiega Bartalucci. “In pazienti con cariotipo normale, senza alterazioni cromosomiche, la stratificazione del rischio avviene sulla base di mutazioni ricorrenti in geni noti, che però non sono in grado di stimare al meglio la prognosi. Il decorso della malattia è infatti estremamente eterogeneo: in alcuni casi la risposta alla terapia è buona e la progressione più lenta; in altri, al contrario, i pazienti sono refrattari e hanno tempi di sopravvivenza più bassi”.
Per l’identificazione di varianti strutturali ricorrenti nel genoma di pazienti AML a caiotipo normale, i ricercatori si sono avvalsi di tecnologie sperimentali che permettono di andare oltre i limiti di risoluzione delle normali metodiche utilizzate: “Il cariotipo viene solitamente studiato attraverso indagini citogenetiche che hanno una risoluzione non molto elevata, ovvero non permettono di identificare alterazioni di piccole dimensioni”, racconta Bartalucci. “Dall’altro lato ci sono tecnologie molecolari, che si chiamano NGS, Next Generation Sequencing, che indagano mutazioni che coinvolgono solo una o comunque poche basi del codice genetico.
C’è però un’area grigia nel mezzo con alterazioni troppo piccole per essere identificate attraverso l’analisi del cariotipo e troppo grandi per essere identificate tramite NGS classico. Ed è per questo motivo che in questi pazienti, che apparivano cariotipicamente normali, abbiamo deciso di utilizzare una nuova metodica di sequenziamento di terza generazione, definita a long read”.
Queste analisi, biostatistiche e bioinformatiche, hanno permesso di identificare 5 alterazioni strutturali associate ad una significativa riduzione della sopravvivenza: “Abbiamo identificato dei nuovi marker che sono potenzialmente predittivi di una malattia aggressiva e che permetterebbero, se individuati alla diagnosi, di avviare fin da subito il paziente verso il percorso terapeutico più appropriato”. Le alterazioni strutturali genomiche emerse dallo studio sono già state sottoposte a una prima fase di validazione dei risultati, conclusasi con esito positivo, a cui ne seguiranno altre, come spiega Bartalucci: “Una premessa da fare è che questo studio è stato realizzato su 247 pazienti, per cui queste osservazioni andranno ulteriormente validate su numeri più alti, data anche l’elevata eterogeneità della malattia.