Sono state sviluppate diverse strategie preventive per limitare il numero di sanguinamenti nei pazienti affetti da emofilia A, ma non è ancora chiaro quale sia il livello ematico di fattore VIII da raggiungere per ridurre il rischio a zero. Un gruppo di ricerca dell’Università degli Studi di Milano ha individuato, come valore ottimale, 18-19 IU/dL. I risultati sono stati pubblicati su Blood Advances.

“La terapia dell’emofilia A sta cambiando rapidamente”, spiega Pasquale Agosti, medico geriatra del Centro Emofilia e Trombosi “Angelo Bianchi Bonomi” della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e ricercatore presso l’Università di Milano. “Oltre ai nuovi prodotti a emivita prolungata (EHL-Extended Half-Life) del fattore VIII e ai farmaci non sostitutivi come l’anticorpo monoclonale emicizumab, si sta affacciando al panorama terapeutico anche la terapia genica”.

L’emofilia A è una malattia genetica, caratterizzata dalla mutazione del gene che codifica per il fattore VIII della coagulazione. Bassi livelli di questo fattore nel sangue causano una riduzione della trombina, una proteina essenziale per la formazione dei coaguli. I pazienti affetti da questa malattia, a causa della carenza o della disfunzione del fattore VIII della coagulazione, hanno un elevato rischio di emorragie articolari. La terapia genica, per mezzo di un vettore di origine virale, sarebbe in grado di andare a sostituire il gene mutato con uno non mutato ripristinando la corretta produzione di fattore VIII.

“In questo contesto terapeutico e soprattutto nello sviluppo della terapia genica è importante individuare il valore ematico ottimale di fattore VIII al quale tendere per prevenire le emorragie articolari spontanee che sono una delle principali complicanze della malattia.

La prevenzione dei sanguinamenti articolari è, infatti, l’obiettivo di trattamento dei pazienti emofilici perché questi sanguinamenti sono altamente invalidanti poiché impattano in maniera significativa sulle capacità funzionali e sulla qualità di vita di questi pazienti, predisponendoli all’insorgenza di artropatie che comportano un ulteriore incremento del rischio di emorragie articolari”, continua Agosti.

Due gruppi di ricerca olandesi (risultati qui e qui) e uno statunitense hanno recentemente condotto studi su ampi campioni di pazienti osservando come le emorragie articolari sono ridotte approssimativamente a zero con valori ematici di fattore VIII tra 12-15 IU/dL (coorti olandesi) e superiori a 20 IU/dL (coorte statunitense).

“L’eterogeneità nel disegno di questi studi e nelle caratteristiche delle popolazioni di pazienti incluse, che comprendono anche pazienti con emofilia moderata e grave, li rende difficilmente confrontabili. Nel nostro studio abbiamo incluso solo pazienti con un grado lieve di emofilia perché presentano il fenotipo di malattia da raggiungere con le nuove terapie.

Infatti, questi pazienti con emofilia lieve costituiscono una sorta di modello “naturale” con livelli abbastanza costanti di fattore VIII, compresi tra 6 e 40 IU/dL, e con una bassissima incidenza di sanguinamenti a livello articolare, che di solito avvengono solo dopo traumi” specifica Agosti.

Nello studio retrospettivo condotto da Agosti con i colleghi del gruppo di ricerca coordinato da Flora Peyvandi, professore ordinario di Medicina interna dell’Università degli Studi di Milano e direttrice del Centro di riferimento per l’emofilia e la trombosi “Angelo Bianchi Bonomi”, sono stati coinvolti 270 pazienti di età compresa tra i 16 e gli 88 anni, con un valore medio di fattore VIII di 21 IU/dL, non in trattamento con fattore VIII in regime di profilassi.

Lo studio del rischio di emorragie articolari spontanee nel corso della vita, espresso in termini di AJBR (Annualized Joint Bleeding Rate – Tasso annuo di sanguinamenti articolari) in questa ampia coorte di pazienti ha permesso di individuare un valore minimo di fattore VIII necessario per prevenire tutte le emorragie articolari e in particolare quelle spontanee di 18-19 IU/dL.

“Il rischio di emorragia articolare del paziente con emofilia A non è legato solamente al livello di fattore VIII ma anche ad altri fattori come per esempio l’età, il livello di attività fisica, l’esposizione a traumi e lo stato delle articolazioni. Nonostante l’approccio terapeutico debba, quindi, essere personalizzato, questi risultati rappresentano un importante passo avanti verso lo studio di migliori terapie profilattiche delle complicanze articolari dell’emofilia A anche per pazienti con gradi moderati e gravi di malattia”, conclude Agosti.

 

L’articolo scientifico originale, in lingua inglese, è disponibile a questo link.