Il nuovo metodo sfrutta i dati derivanti dalla citofluorimetria a flusso multiparametrica. I risultati sono stati presentati nel corso dell’ultimo congresso dell’Associazione Europea di Ematologia (EHA, European Hematology Association).
Con malattia minima residua (MRD, Measurable Residual Disease) si definisce il numero di cellule leucemiche che persistono nel midollo osseo o nel sangue periferico dopo il trattamento iniziale. Nei pazienti con leucemia mieloide acuta (AML) in remissione completa la malattia minima residua negativa è associata a buoni valori in termini di sopravvivenza libera da eventi e sopravvivenza globale. Tuttavia, in circa il 20-25% dei pazienti, la recidiva avviene nonostante i valori di MRD siano al di sotto della soglia di rilevamento.
Uno studio ha testato un nuovo approccio nella quantificazione della malattia minima residua in pazienti affetti da leucemia mieloide acuta, analizzando i dati provenienti dallo studio HOVON-SAKK-132.
“Occorre fare una premessa: questo studio rappresenta la validazione, su un’ulteriore casistica, di un metodo già esplorato con lo studio GIMEMA AML1310”, ci spiega Francesco Buccisano, ematologo presso il Policlinico Universitario di Tor Vergata a Roma, tra gli autori dell’analisi. “GIMEMA AML 1310 è stato il primo studio in cui l’intensità di un trattamento per un gruppo di pazienti classificato a rischio intermedio è stata definita sulla base della malattia minima residua, misurata attraverso metodiche con un’elevata sensibilità di rilevazione, come la biologia molecolare e la citofluorimetria a flusso multiparametrica.
Lo scopo del nostro lavoro è stato capire se esistesse un metodo oggettivo per misurare la MRD. Di solito infatti viene misurata applicando una soglia che non è un valore assoluto, ma può variare da studio a studio, in base al protocollo applicato”, continua a spiegarci Buccisano.
“Questa soglia deriva dall’osservazione retrospettiva degli studi precedenti, attraverso la quale viene stabilito il valore più significativo che verrà applicato anche agli studi successivi e utilizzato per definire il trattamento della malattia”.
Il metodo di classificazione della MRD proposto nel lavoro presentato al congresso EHA è invece una misurazione assoluta della MRD, legata alla sensibilità del metodo: tanto più sarà alta la sensibilità, tanto migliore sarà la misura. I metodi di rilevazione attuali, basati su tecnologie di nuova generazione, permettono di acquisire un gran numero di dati sulle cellule, distinguendo tra quelle leucemiche e quelle normali. L’elaborazione di questi dati, attraverso l’applicazione di calcoli statistici, permette di arrivare alla classificazione della malattia sulla base di una quantificazione assoluta delle cellule.
Secondo gli standard del metodo, dei 375 pazienti dello studio HOVON-SAKK-132, il 33% è stato classificato come MRD negativo ed ha riportato un migliore esito in termini di sopravvivenza a 3 e a 5 anni.
“Abbiamo dimostrato che questo nuovo metodo di calcolo è migliore rispetto a quello tradizionale, perché distingue meglio la prognosi dei vari pazienti. Dobbiamo ora creare dei database condivisi in cui convergano i dati di vari studi, in modo da esplorare la riproducibilità di questo approccio e valutare se può essere il nuovo metodo con cui stabilire i criteri di positività o negatività della MRD”, conclude Buccisano.