I risultati degli studi che hanno indagato il rapporto tra salute mentale degli operatori sanitari e pandemia da SARS-CoV-2 fanno emergere che alcune condizioni psichiche dei lavoratori possono essere considerate malattie professionali. Ci sono azioni di prevenzione che possono essere applicate negli ospedali per prevenirle.
“Quello che è successo con il COVID-19 è stato una specie di cataclisma”. Questo uno dei primi commenti di Rodolfo Rossi, ricercatore dell’Università di Roma Tor Vergata specializzato in psichiatria e psicoterapia, sul rapporto tra pandemia e salute mentale degli operatori sanitari. Per capire meglio cosa questo significhi, GIMEMA Informazione ha chiesto all’esperto di approfondire un recente studio di cui è autore, pubblicato su Jama Network Open, che ha indagato il tema.
“Tutto nasce da un articolo pubblicato su Jama Network Open da ricercatori cinesi. La Cina è stato il primo Paese ad affrontare la pandemia e il primo a pubblicare sull’argomento. Il primo gruppo ad affrontare la questione in Occidente, invece, è stato il nostro, che ci siamo adattati agli stessi parametri cinesi per standardizzare le misure”.
Il primo articolo realizzato da Rossi e colleghi è stato pubblicato nel maggio del 2020 ed è una fotografia della situazione psicologica degli operatori di prima e seconda linea italiani che hanno dovuto affrontare la pandemia. Diversi i fattori presi in considerazione: insonnia, depressione, ansia e sintomi di disturbi post traumatici. I risultati di quella prima indagine hanno descritto un maggiore rischio per le giovani donne e gli operatori sanitari di prima linea.
A distanza di quasi 18 mesi lo stesso team di ricercatori ha pubblicato un nuovo studio. “Questo è un follow up di un articolo pubblicato l’anno scorso, uno studio longitudinale per capire se la situazione è cambiata e quali sono i fattori associati all’eventuale cambiamento”. Il secondo articolo comprende misure fatte a 14 mesi di distanza dalle prime e ancor più marcatamente conferma i risultati della prima pubblicazione. Riguardo le possibili differenze con gli altri studi pubblicati Rodolfo Rossi afferma: “Ci sono molti dati a riguardo e quello che emerge è costante, sono più a rischio le donne, gli infermieri e gli operatori sanitari in prima linea. Particolarmente a rischio anche chi ha avuto un’esposizione diretta o indiretta alla malattia”.
Lo studio aggiunge che è un fattore di rischio e persistenza del disturbo continuare a rimanere a lungo con un lavoro di prima linea: “Chi ha lavorato in prima linea solo nel 2020 è riuscito a riprendersi successivamente, chi ha continuato anche per il 2021 continua a star male o, peggio, sviluppa una malattia psichiatrica”.
Una lettura generale di questi dati, e di tutti gli studi simili, fa emergere una considerazione importante:
alcune condizioni psichiatriche possono essere considerate quasi delle malattie professionali.
La domanda che sorge spontanea, dunque, riguarda le possibili azioni di prevenzione che dovranno essere applicate, e Rossi risponde così: “La medicina del lavoro dovrà rimboccarsi le maniche. Bisognerà effettuare una prevenzione primaria, riducendo i fattori di rischio identificati da questi studi.