Uno studio GIMEMA, pubblicato recentemente sul Journal of the National Cancer Institute, evidenzia che i dati di qualità di vita che emergono dagli studi randomizzati open-label – dove i pazienti sanno che stanno ricevendo un trattamento innovativo – sono affidabili tanto quanto quelli che emergono dagli studi blinded – dove nessun partecipante sa quale cura sta ricevendo.
Una delle maggiori preoccupazioni dei ricercatori quando si conduce uno studio scientifico è il rischio di distorsione nella raccolta di dati (il cosiddetto bias). Ossia il fatto che i partecipanti all’esperimento, sia scienziati che pazienti, possano, più o meno inconsapevolmente, influenzarne il risultato. A volte la distorsione può essere impercettibile e ininfluente, altre volte può essere un macigno che pesa sull’intera validità dello studio e delle sue conclusioni.
È il motivo per cui due enti regolatori, la Food and Drug Administration americana (FDA) e l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), si sono più volte mostrati scettici nei confronti degli studi randomizzati open-label che valutano (tra le altre cose) la qualità di vita dei pazienti che ricevono nuove cure sperimentali contro i tumori. Questo perché i pazienti che partecipano a un esperimento “in aperto” sanno se stanno ricevendo la terapia standard oppure quella sperimentale e innovativa. Gli studi blinded (in cieco) vengono invece ritenuti più affidabili perché nessun partecipante sa quale cura sta testando.
La qualità di vita di un paziente è un parametro che, per definizione, può valutare solo il paziente in prima persona, rispondendo alle domande di un questionario. In genere, si sondano sintomi fisici, come il dolore o la fatica, e gli aspetti psicologici, quindi l’umore. Dal punto di vista dell’FDA e dell’EMA, chi compila questi questionari sulla qualità di vita, sapendo di sperimentare una nuova terapia, può mostrare un eccessivo ottimismo nelle risposte. E quindi l’eventuale migliore qualità di vita di questi pazienti randomizzati nel braccio sperimentale potrebbe essere condizionata da un’aspettativa positiva inconscia.
Uno studio pubblicato a settembre 2021 sul Journal of the National Cancer Institute fa chiarezza, dimostrando che il valore dei risultati riportati dai pazienti sulla loro qualità di vita negli studi randomizzati open-label sarebbero assolutamente validi. Esattamente al pari di quelli che provengono dagli studi in cieco.
“Per arrivare a questa conclusione abbiamo valutato 538 studi randomizzati, pubblicati negli ultimi quindici anni, sia open-label che blinded”, spiega Fabio Efficace, autore della ricerca e coordinatore della Unità di Qualità di Vita del GIMEMA.
Del campione di studi, il 68% (366) erano in aperto, il 27,5% (148) in cieco e i restanti classificati come non chiari.
“Dalle nostre analisi non abbiamo rilevato differenze significative nella proporzione di studi che trovavano una migliore qualità di vita nei pazienti che ricevevano cure sperimentali, tra gli studi open-label e blinded” sottolinea Efficace.
“Pertanto i nostri risultati contribuiscono ad avvalorare l’evidenza che i dati di qualità di vita che emergono dagli studi randomizzati open-label sono affidabili tanto quanto quelli che emergono dagli studi blinded”.