Lo studio della salute riproduttiva e sessuale di donne e ragazze con anemia falciforme è ancora pieno di lacune. Le evidenze raccolte in un lavoro recentemente pubblicato sul British Journal of Haematology, con il commento di Raffaella Colombatti, tra le massime esperte in Italia e in Europa di questa malattia.
La pubertà, l’adolescenza, le prime mestruazioni, il sesso, la prescrizione della pillola. Poi, chissà, il desiderio di una gravidanza. Sono alcune delle tappe della vita che una ragazza può trovarsi ad affrontare e che, invece, una bambina affetta da anemia falciforme, una malattia genetica del sangue, non può dare per scontate. Non tanto perché non sia possibile da un punto di vista medico, ma perché la conoscenza della salute riproduttiva di donne e ragazze con anemia falciforme ha bisogno ancora di molto studio.
Come mai, lo spiega Raffaella Colombatti della Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera-Università di Padova.
“È una fascia di popolazione relativamente recente. Fino agli anni Settanta l’aspettativa di vita dei pazienti era di 7 anni, quindi erano rari i casi di donne adulte che stavano bene tanto da desiderare una gravidanza. Ora l’aspettativa è salita a 55 anni e così ci sono molte più pazienti che fanno i conti con i problemi legati alla salute riproduttiva”.
In Italia siamo indietro nello screening universale neonatale. In Europa, invece, è stato implementato in tutti i Paesi. La malattia è maggiormente diffusa in zone malariche o che lo sono state, come Africa e India, ma anche a causa dell’aumento dei movimenti migratori si è verificato un incremento dell’incidenza dell’anemia falciforme anche in Sud e Nord America e in Europa.
“Ma noi italiani siamo rimasti gli unici in Europa a non avere lo screening universale neonatale – continua l’ematologa – così diagnostichiamo tardi la malattia, che esordisce clinicamente dopo i 6 mesi di vita, e prescriviamo altrettanto tardivamente alcune misure protettive per lo sviluppo e la crescita della paziente”.
I primi effetti dell’anemia falciforme sulla salute riproduttiva si vedono durante la pubertà, che nelle femmine – come nei maschi – è ritardata. “Proprio per effetto della patologia o per le carenze nutrizionali legate a uno stato di anemia emolitica cronica”, chiarisce Colombatti.
“In genere il picco di crescita e la maturazione sessuale arrivano un paio di anni dopo rispetto ai ragazzi non affetti dalla malattia”.
C’è poi la contraccezione: come sottolinea lo studio, le ragazze con anemia falciforme che prendono contraccettivi, in particolari quelli con estrogeni, hanno un rischio di eventi trombotici, come ictus e trombosi venose profonde, molto alto. “Essendo una malattia accompagnata da iperviscosità e vasculopatia con attivazione della coagulazione è chiaro che anche il discorso contraccettivo richiede cautele maggiori rispetto alla popolazione generale”, precisa l’esperta.
“La prescrizione va fatta con il parere di un team multidisciplinare, non solo una ginecologa ma anche un ematologo, e poi le ragazze vanno monitorate con attenzione”.
Va da sé che anche le gravidanze delle donne con anemia falciforme sono quadri delicati e potenzialmente a rischio. Nessuna terapia, infatti, è in grado di risolvere completamente la patologia. Da qualche tempo si impiega l’idrossiurea, un chemioterapico che incrementa la concentrazione di emoglobina fetale – in genere non prodotta dall’adulto – che agisce per ridurre la presenza di emoglobina S (la proteina anomala che trasporta ossigeno, contenuta nei globuli rossi dei pazienti) e limitare i suoi danni. Molte donne in età fertile sono in cura con l’idrossiurea e “anche se recenti studi francesi non hanno rilevato problemi nel feto in donne che continuavano ad assumerla, si tratta di un farmaco chemioterapico che non siamo sicuri sia adatto in gravidanza”, afferma l’esperta. “Spesso, quindi, si sospende la cura e le mamme vengono messe sotto eritrocitoaferesi, un metodo che consiste nell’eliminazione selettiva dal sangue dei globuli rossi malati, in modo da assicurare un’assenza di complicanze”. Un rimedio efficace, che però non può essere definitivo.
“Il vuoto va riempito con altri farmaci, ma per fortuna stanno arrivando nuovi medicinali”, conclude la pediatra.
“Noi ematologi dovremo essere bravi a utilizzarli nei diversi momenti della vita delle pazienti a seconda delle loro necessità”.